(Portogallo, Italia, Francia, Germania 2013, 26 min., col/b.n., drammatico)
Già apprezzato dal collega Stefano in occasione di Venezia 70, il cortometraggio di Gomes merita qualche linea di riflessione in più. In ventisei minuti si possono, infatti, dire cose che molte pellicole non riescono neanche ad accennare in un’ora e mezza. Ventisei minuti bastano al regista portoghese per realizzare un cortometraggio con i fiocchi: semplice, efficace e pungente.
Quattro confessioni, o quattro lettere, di quattro persone differenti in luoghi e tempi diversi. Queste sono pronunciate, o lette, da altrettante voci narranti, mentre immagini d’archivio e in superotto, avvinghiano l’occhio dello spettatore descrivendo la vita e l’epoca in cui la persona narrante ha vissuto.
Portogallo, 1975
Milano, 2011Un uomo di una certa età si vanta di aver fatto l’amore con moltissime donne. Il suo racconto è tormentato per colpa di una figura angelica, Alessandra (vero amore della sua infanzia), che non è mai riuscito a possedere. Immagini di repertorio mostrano Milano dapprima liberata (il corpo esposto di Mussolini) e poi in piena effervescenza industriale. Il tutto è, inoltre, amalgamato ad altre sequenze legate alla finzione cinematografica. Stupenda è, infatti, la metafora con la pellicola Miracolo a Milanocomprensibile a posteriori. Gomes, pur omaggiando la pellicola di Vittorio De Sica, mette in guardia dal non credere a vari miracoli industriali o cinematografici (il volo del protagonista sul duomo), svelando i trucchi del mestiere (si vede una scena del “making of” del film di de Sica) e lasciando intendere altri trucchi di nostrane affermazioni…
Il lavoro di Gomes è un’attività certosina, di ricercatore, da topo di biblioteca: anzi, da topo di… cineteca. Realizzato nel programma di tutoraggio presso la scuola parigina Le Fresnoy, il cineasta portoghese ha spulciato sedici archivi europei (fra cui la povera Filmoteca Portuguesa, a rischio chiusura) tirandone fuori delle immagini per Redemptionche acquistano significato a livello di montaggio e grazie alla voce dei narratori. Mescolando visioni private (superotto) e pubbliche (archivi), Gomes mescola la vita privata di personaggi pubblici, mettendo a nudo il loro intimo ed esponendolo al sociale nonché al politico. La confessione è uno sfogo, l’espressione di fragilità e la conferma che l’espressione in società non è altro che una maschera, un tratto di pennello in più. Questa crosta di pittura, questa simulazione, una volta tolta, lascia il singolo soggetto alla fragilità e alla derisione, all’ironia di Miguel Gomes e alla sorpresa finale. Se dunque l’analisi può essere fatta a più livelli (realtà – apparenza, privato – pubblico, immagini storiche – immagini familiari), la sostanza rimane la stessa ed è ciò che interessa veramente il regista: interrogarsi sulla natura del singolo e, nel caso particolare di questo corto, chiedersi se è sufficiente un frangente d’umanità per redimerlo dalle sue apparenze. Ogni uomo, così anche i quattro narratori di Redemption, ha diritto ad una redenzione, dirà Gomes alla conferenza stampa.
Mattia Giannone