Miguel, il pifferaio magico
Creato il 10 marzo 2014 da Sara
Nel libro " Millevite viaggio in Colombia" scritto dopo il suo viaggio di sei mesi "on the road" Silvia di Natale parla di tutti i luoghi del suo vagabondare, ma non ci sono foto che li mostrino, essi risultano dalle parole di chi li abita e di chi li ha ascoltati parlare, filtrati dalla lente dei ricordi, delle narrazioni, delle esperienze delle persone incrociate lungo il percorso. Un passaggio, la richiesta di un'informazione, la curiosità di sapere, una serata seduti intorno alla tavola, una bevuta insieme sono l'occasione dell'incontro e si susseguono via via così storie e persone, l'autista, il sindaco, il calzolaio, l'impiegata del municipio, il nonno, un madre alla ricerca della figlia "rubata" e quei luoghi non sono più solo spazi geografici, i loro profili si animano attraverso l'esperienza della condivisione.
Di posti interessanti, di panorami mozzafiato ce ne sono dappertutto in giro per il mondo, ma acquistano un'altro sapore se la loro bellezza si accompagna a un'esperienza di vita vissuta e mi vengono in mente quelle bellissime parole di Alexandra David- Néel: "Chi viaggia senza incontrare l'altro, non viaggia, si sposta". E noi siamo stati proprio molto fortunati a San Agustìn perché abbiamo avuto ben due incontri d'eccezione, il nostro Hugo da Verona di cui ho già scritto (http://www.saranathan.it/2014/03/hugo-da-verona.html) e Miguel, che mi piace chiamare "il pifferaio magico". Il ricordo di San Agustìn per me come sono certa anche per i miei compagni di viaggio rimarrà sempre indissolubilmente legato non tanto e non solo a quelle enigmatiche, misteriose sculture di pietra vecchie di secoli e secoli là a riposare in pace e nascondere chissà quanti segreti su montagne e colline, ma a Hugo e Miguel accanto a noi. Oltre al sorriso stampato sempre sulle labbra, non so quante altre competenze ancora abbia Miguel, musicista, studioso di musica e strumenti antichi andini, specialista di piante, fiori e tradizioni della sua terra, antropologo, certo è che visitare accompagnati dalle sue ricche spiegazioni questa zona archeologica dell'area di San Agustìn, ovvero il Parco Archeologico, Alto de los Idolos e Alto de las Piedras a San José de Isnos, è stato proprio una bella esperienza.Quando mai capita che inoltrandosi in questi silenziosi, magici parchi la guida ti segnali ogni pianta e le sue proprietà, raccolga dei rami per mostrare la linfa diversamente colorata di ognuna creando sull'istante una performance di arte contemporanea? E poi quando mai capita di incontrare una guida che ti accompagna da un reperto archeologico a un altro, da un sito precolombiano all'altro a suon di musica con uno strumento che assomiglia al piffero,ma non lo è? Non faccio fatica a capire i bambini di Hamelin che hanno seguito fiduciosi il loro pifferaio fuori del paese perché noi, maggiorenni e vaccinati, abbiamo fatto esattamente lo stesso.
Circa 4000 anni fa una o più civiltà primitive, scomparse non si sa per quali ragioni prima dell'arrivo degli spagnoli e di cui ancora molto resta da scoprire anche perché non possedevano un linguaggio scritto, erano insediate nelle valli adiacenti dei fiumi Magdalena e Cauca. I fiumi costituivano le principali vie di comunicazione e proprio qui, vicino a San Agustìn dove ci sono le sorgenti di entrambi i corsi d'acqua, la/le civiltà si incontravano per ragioni commerciali o religiose, qui seppellivano i loro morti. Le rocce vulcaniche eruttate dai vulcani della zona, oggi estinti, hanno fornito il materiale agli scultori dell'epoca e oggi possiamo ammirare oltre 500 statue a grandezza naturale e certe alte anche fino a sette metri sparse in una vasta area intorno a San Agustìn. Ecco la descrizione che ne fa Silvia di Natale: " San Agustìn si trova a 1600 metri di altezza, su un altipiano circondato da una corona di montagne. E' un luogo fresco e ventilato soprattutto di notte, il posto ideale per un insediamento: assai prima che lo scoprissero gli spagnoli era il territorio di un'etnia che provvide da sola a scomparire. Non sappiamo chi fossero quegli antichi colombiani, ma di certo erano maniaci dello scalpello, ossessionati da visioni orripilanti di demoni carnivori e specializzati nella produzione su larga scala di statue in tufo che li rappresentano. Prima i demoni erano sparpagliati qua e là nel paese, ce n'erano nelle vie, tra le bancarelle del mercato, alla fiera del bestiame, nelle piazze, ma negli anni cinquanta fu fatta una retata. Da allora risiedono nel parco archeologico di San Agustìn, in bell'ordine, ognuno sul suo piedistallo di calcare, riparati da un tettuccio di ondulato: assomigliano più a Buddha sotto la pagoda che a diavoli usciti dalla selva"
Queste aree archeologiche sono dei cimiteri, praticamente come Abu Simbel, il Pantheon o Santa Croce, dei templi dell'antichità dove riposano in pace "le urne dei forti", gli illustri personaggi di quelle comunità. A volte solo tombe scavate a varie profondità, a volte costruzioni più articolate e davanti a ogni ingresso sepolcrale delle statue che per dimensioni e peculiarità delle incisioni rivelano la natura dell'ospite, un grande capo, una donna incinta, un bambino; incisioni e oggetti rinvenuti raccontano anche di usi e costumi, frammenti di vita quotidiana e momenti rituali.
Davanti o collocati dietro i dolmen di pietra ci sono dei guardiani a custodire la tomba, figure antropomorfe o zoomorfe, rappresentazioni di animali, in particolare giaguari, aquile, scimmie, caimani e rane considerati magici, dei guardiani esattamente come, con altre forme, ho visto nei templi buddhisti birmani. Risulta sempre una visione olistica della vita in cui ogni dettaglio, ogni rappresentazione, ogni colore ha un suo significato simbolico, uomini, flora e fauna, natura si integrano in una visione globale e la morte, come la vita, è occasione di feste e riti perché immune da quella valenza negativa che noi oggi le attribuiamo, è solo un grande viaggio, un nuovo grande viaggio. Tre le posizioni del corpo del defunto per affrontarlo, sarà tenuto verticale, orizzontale o in posizione fetale. Durante le ricerche gli archeologi hanno riportato alla luce quantità di ceramiche ma pochi oggetti d'oro, perché questa non è zona aurifera come la costa caraibica. Rimasta solo qualche traccia si sono purtroppo dissolti nel tempo i colori, i bianchi, i neri, i rossi, i gialli, le decorazioni geometriche delle tombe.
Nel parco archeologico di San Agustìn accanto ai gruppi di statue chiamate "mesitas" si trova l'affascinate Fuente de Lavapatas, un complesso labirinto di canali e vasche terrazzate decorate scavate nel letto roccioso del torrente. Gli archeologi ritengono che le vasche fossero utilizzate per le abluzioni rituali e per il culto di divinità acquatiche. Miguel ci fa notare come una vista globale sulle pietre dal ponticello sia riconducibile a un volto umano.
La materia è vastissima, ho mostrato le sculture delle tre aree archeologiche senza sottolineare differenze e specificità che naturalmente ci sono, per esempio le diverse epoche a cui risalgono (Periodo Formativo 1000 a.C. - 100 d.C., Periodo Classico Regionale 100 - 900 d.C., Periodo Recente 900-1350 d.C.), per esempio il passaggio dalle prime semplici tombe a quelle imponenti con statue e colonne e l'evoluzione dalle sculture piatte senza prospettiva del Parco di San Agustìn a quelle tridimensionali e più articolate di Alto de los Idolos e Alto de las Piedras. Già nel 1556 un viaggiatore parla di questa area geografica, queste vestigia sono state segnalate fin dal 1700, le hanno studiate in molti, particolarmente Konrad Theodor Preuss, riferimento imprescindibile nella materia che nel 1919 ci ha scritto sopra un'opera monumentale di 600 pagine e l'archeologo colombiano Duque Gomes che ha scoperto molte tombe e lavorato in questa area negli anni 60. Miguel spiegava che molto resta da fare, la terra nasconderebbe ancora l'80% dei suoi tesori.
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