Milan 2011: è allarme rosso

Creato il 22 marzo 2011 da Gianclint

–Aver per compagna la paura-

In casa Milan è allarme.

L’eliminazione dalla Champions League, ritenuta indolore dai più, poi così indolore non deve essere stata: una squadra che ha l’opportunità di giocare il pallone nel modo che più predilige -a terra-, e sbaglia la gara proprio sotto il punto di vista tecnico, ha una sola diagnosi: l’insicurezza spontaneamente sbocciata all’interno dello spogliatoio dopo la gara di Londra.

Se l’ultimo quarto d’ora col Bari è stato arrembante, allo stesso modo vedere il Milan attingere alla foga, al disordine organizzato generato dall’uomo in meno per pareggiare contro il Bari, è stato quanto meno un campanello d’allarme. Non sono in discussione le doti tecniche individuali: l’essere pronti ad affrontare un momento cruciale della stagione, sì.

Ha vinto la paura a Palermo, il timore del “Staremo facendo la cosa giusta?” ed una squadra che ha paura ha già perso ben prima di entrare in campo. Era preventivabile che ci fosse uno scossone emotivo, dopo la gara di Champions, e, allo stesso modo, che il tecnico trovasse difficoltà a gestire una situazione di pressione di questo tipo per la prima volta nella sua carriera; così come la squadra che, rivoltata nei suoi principi di calcio, deve ancora sapersi raccogliere attorno a nuovi equilibri di leaderaggio.

Il ruolo che riterrà opportuno svolgere la società nelle prossime settimane sarà FONDAMENTALE. E’ questa stessa che appare agli occhi dei tifosi latitante -questione rinnovi, presenza sui media e a Milanello-: la squadra andrà protetta e preservata, gli spifferi -iniziano ad essere tanti- sigillati. Attorno al lavoro in campo la squadra dovrà trovare il fuoco al quale scaldarsi e sentirsi protetta, non in balia di un vento che ci dicono “…può sempre cambiare” [M.Tronchetti Provera].

Rispetto all’anno scorso il Milan ha 3 punti in classifica in più, 1 di meno rispetto all’Inter fantasmagorica di Sua Specialità. Siamo primi in classifica, ma oggi, ci pare solo nominalmente e non nella sostanza… qualcosa non ci convince: chi vede Ibra come un giocatore su cui squadra e Mister si “accomodano”; chi non è soddisfatto dal gioco espresso dai centrocampisti; chi non si capacita del fatto che Pato, per una ragione o per l’altra, sia incapace di trasmettere la sensazione di poter contare su di lui in modo certo. Se Nesta comunica che “Tutti quanti dobbiamo e possiamo giocare meglio tutti quanti assieme”, qualcosa non torna nello spogliatoio per prima.

Il Milan ha attraversato almeno tre fasi in questa stagione: la prima di conoscenza reciproca, di partenza “alla cieca” -Ibrahimovic e Robinho, fondamentali, arrivati negli ultimi giorni di agosto-; poi di cambiamento del gioco -ricerca della verticalizzazione-, e del modo di stare in campo -con Ambrosini impiegato da metodista ed la ricerca del pressing-; infine di consolidamento -il mantenimento del 1°posto fin qui-.

Tutto questo è accaduto in corso d’opera, ed una dinamica del genere lascia poco spazio allo sviluppo più corale di gioco e meccanismi: paradossalmente, avere il primato in classifica da difendere lasciava un margine di lavoro molto ristretto a staff tecnico e giocatori: bisognava badare alla sostanza.

Le prossime due settimane proietteranno la squadra verso l’ultima fase di questo processo, che porterà la squadra a dover pensare giorno per giorno all’avversario, un passo alla volta, per poter costruirsi il domani: la parte più difficoltosa, quella dove il temperamento dovrà essere pronto ad uscire fuori.

Immaginiamo la formazione ritenuta titolare per un attimo: quanti giocatori sono abituati a lavorare su loro stessi mentalmente sottostress? Pochi, e qui sarà lo stesso nostro allenatore a doversi calare più nei panni dello psicologo che del tecnico. Se si vorrà vincere bisognerà ritrovare il rapporto corretto tra serenità e tensione; tra consapevolezza dei propri mezzi e attenzione. Se il cervello non gira, prima delle gambe non c’è “schema” che tenga…

Questa squadra non dovrà rispondere a nessun fantasma: non esisterà mai una prospettiva calcistica organica e credibile a scapito dell’avversario, se mai nascerà nel misurare se stessa coi propri slanci fisici e tecnici, le proprie risorse mentali: la maturità in campo -al netto della classe-, la fa l’uomo, poi il calciatore.

E’ nella tranquillità, nella consapevolezza che il gruppo è con te che si trovano le chiavi per accendere l’agonismo; vivere in campo la concentrazione come base per ritrovare la naturalezza del proprio modo di giocare: la gioia di giocare a calcio. Questo l’ultimo fine, prima delle medaglie, prima di ogni altro calcolo, e ciò che conta. E non conoscere rimpianti.


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