MILANO. Le 5 pratiche che è meglio non usare in endocrinologia: “fare di più non significa fare meglio”
Creato il 07 luglio 2015 da Agipapress
MILANO. Sono 5 le pratiche
mediche identificate da AME, Associazione Medici Endocrinologi, a rischio di
inappropriatezza, pratiche impiegate usualmente ma non supportate da prove di
efficacia. “Confortati dai risultati di studi e metanalisi, abbiamo selezionato
le 5 pratiche cliniche endocrinologiche che non risultano efficaci, afferma Rinaldo Guglielmi, Presidente AME,
convinti che “fare di più non significa fare meglio”.
Questa convinzione ci ha
anche portato ad aderire a Slow Medicine, rete di professionisti e cittadini
per una cura sobria, rispettosa e giusta. Il primo progetto che ci vede
impegnati è quello relativo al fenomeno, sempre più diffuso e sentito, del
sovrautilizzo di esami diagnostici e di trattamenti.
Il progetto Slow Medicine
è stato lanciato nel 2012 con il motto “Fare di più non significa fare meglio”,
in analogia all’iniziativa ChoosingWisely già in atto negli Stati Uniti.
Sono tanti gli esami e i trattamenti che continuano a essere prescritti ed
effettuati per varie ragioni come l’abitudine, per soddisfare pressanti
richieste dei pazienti o per timore di conseguenze medico-legali. Poiché queste
pratiche rappresentano un vero e proprio spreco di risorse è necessario agire
in varie direzioni per ridurli, con la certezza che il paziente non avrà alcun
nocumento. Ci vuole una nuova consapevolezza e un’assunzione di responsabilità
da parte dei medici, sottoposti a forti pressioni da parte delle aziende, da
colleghi “scrupolosi” che prescrivono molti esami e anche dagli stessi pazienti
che sempre di più si rivolgono al “Dottor Google” e ordinano prescrizioni al
medico invece di affidarsi alle sue competenze. Occorre anche che i cittadini
si rendano conto che per la loro salute non sempre “fare di più significa fare
meglio” e che non sempre il medico che prescrive più esami e prestazioni è più
competente".
Il gruppo di lavoro “AME per una Medicina Sostenibile” coordinato da Marco Attard, UO Endocrinologia,
Ospedale Cervello, Palermo, attraverso un lungo e complesso percorso basato
sull’esperienza clinica e sulle evidenze scientifiche, ha identificato le
pratiche a rischio di inappropriatezza. “Ovviamente, asserisce il dr. Attard,
l’attuazione di queste pratiche non è preclusa ma deve essere valutata volta
per volta sulla base dei segni clinici, della storia del paziente e
condividendo la decisione col paziente stesso”.
Il gruppo di lavoro ha pertanto stilato una lista che ha permesso di
identificare le 5 pratiche che sarebbe meglio evitare di prescrivere ai propri
pazienti:
·
Richiedere
di routine l’ecografia tiroidea nei soggetti senza segni e/o sintomi di
patologie tiroidee e non appartenenti a gruppi di rischio per carcinoma
tiroideo; negli ultimi anni si è registrato un notevole incremento di diagnosi di
carcinoma tiroideo non associato ad aumento di mortalità, evidenziando una
condizione di overdiagnosis. L’esecuzione
indiscriminata di ecografie non solo individua un numero elevato di noduli
tiroidei privi di “peso patologico”, ma può causare ansia nel paziente e un
aumento delle procedure diagnostiche e degli interventi chirurgici, con
conseguente aumento dei costi per la collettività e soprattutto con possibili
danni per il paziente.
·
Ripetere
l’indagine densitometrica ossea a intervalli minori di due anni; i cambiamenti
percentuali nella densità ossea prevedibili entro due anni grazie alle terapie
o alla normale perdita di massa ossea nelle donne in menopausa, è inferiore
alla precisione di rilevamento della tecnica utilizzata.
·
Richiedere
il dosaggio del testosterone libero nel sospetto diagnostico di ipogonadismo e
di iperandrogenismo; sussistono delle problematiche analitiche per le metodiche attualmente in
uso che non rendono utilizzabili i risultati ottenuti. È pertanto preferibile
basarsi sul testosterone totale.
·
Richiedere
di routine il dosaggio della FT3 nei pazienti con patologia tiroidea; nella maggior parte
dei casi il dosaggio del TSH è sufficiente per conoscere la funzione
della tiroide. E’ utile il dosaggio della FT3, oltre alla FT4, solo se si
riscontrano valori soppressi di TSH. Nel monitoraggio della terapia sostitutiva
dell’ipotiroidismo con levotiroxina il dosaggio della FT3 non è necessario
per valutare l’adeguatezza della posologia, salvo casi particolari.
·
Trattare
indiscriminatamente con levotiroxina i pazienti con gozzo nodulare; l’efficacia clinica
del trattamento si realizza solo in una minoranza di pazienti e dopo un
trattamento molto lungo. La terapia soppressiva con levotiroxina,
però, porta ad una condizione di tireotossicosi subclinica che è
rischiosa specialmente per le donne in menopausa e per gli anziani (rischio di
osteoporosi ed aritmie). La terapia va quindi presa in considerazione solo in
casi particolari ed in soggetti giovani.
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