A determinare l’ammontare della vergognosa cifra, la bassa retribuzione di Matteo, lavoratore privo di alcuna tutela (men che meno della copertura assicurativa), senza precisi orari di lavoro (a volte, turni di sedici ore) e senza uno stipendio regolare. Destino comune a tanti giovani, laureati (in storia, Matteo) e non, costretti ad accettare condizioni da schiavi pur di sbarcare il lunario. O ti mangi questa minestra…
Sarebbe da sporchi comunisti pretendere che vite del genere valgano quanto quella di alti dirigenti e politici, che percepiscono stipendi di centinaia di migliaia di euro e per i quali (o almeno per i loro familiari) anche la morte diventa un affare, ma qua siamo di fronte all’insulto, all’inaccettabile offesa della dignità umana. Dignità che si stupra anche definendo l’obolo elargito “risarcimento per infortunio e malattia professionale”, mentre – sostiene la madre, che ha sporto denuncia e pretende giustizia – “Matteo non aveva ancora cominciato a lavorare”.
Mi rifiuto, mi rifiuterò sempre di accettare che il valore delle persone lo stabiliscano il mercato e gli stipendi loro assegnati o che esistano persone più uguali di altre: l’esiguità della somma liquidata dipende, infatti, anche dalla circostanza che Matteo non aveva moglie, né figli.
Piero Sansonetti, dalle colonne di “Calabria Ora”, ha lanciato una proposta, chiedendo a Laura Pausini, attualmente impegnata nella preparazione di un concerto con Pino Daniele, di sospendere tutto “finché l’Inail non chiederà scusa e non moltiplicherà per mille il risarcimento a Matteo”.
Io credo che la cantante romagnola possa fare di più e più in fretta. Conosciamo i tempi biblici della giustizia italiana e conosciamo anche le doti umane di un’artista spesso promotrice di importanti iniziative di solidarietà. Sarebbe bello se, autonomamente, Laura Pausini decidesse di tenere un concerto in memoria di Matteo per devolvere alla madre l’incasso dello spettacolo.