lunedì 21 gennaio 2013 di Rosita Baiamonte
- Essere aupair -
Quando dico di essere una ragazza alla pari, solitamente il mio interlocutore ha due secondi di vuoto, impercettibile vuoto, ma tanto basta per farmi esclamare : “No, non elargisco favori sessuali!”.
Adesso, se me lo chiedono, rispondo che sono una tata, per semplificarmi la vita.
La mia avventura come “aupair” (termine universalmente conosciuto) comincia nel settembre 2012, una data che mi ha cambiato la vita, sebbene ancora oggi fatichi a riconoscerlo. In realtà, il percorso inizia prima. La ricerca, innanzitutto. Per prima cosa mi sono documentata su cosa volesse dire diventare aupair.
Essere aupair significa fare parte del nucleo familiare, mangiare con loro, chiacchierare, badare ai pargoli, aiutare nelle faccende domestiche. Una sorta di big sister, ma con più entusiasmo, forse.
Una volta scoperto che non sarei finita a fare la badante o la meretrice, mi sono iscritta a diversi siti che si occupano di “reclutare” ragazze da spedire in giro per il mondo. La scelta è inevitabilmente caduta su www.aupairworld.com che è, attualmente, la piattaforma più conosciuta e che conta migliaia di contatti ogni giorno e migliaia di iscrizioni. Tutto molto bello, ma che caos! Troppe famiglie, troppe ragazze, insomma, concorrenza spietata! Chi crede che sia facile trovare una famiglia che ti accolga si ricrederebbe all’istante. Io personalmente ci ho messo quattro mesi.
Dopo tanti no, finalmente arriva un sì. Una chiamata su skype e tutto cambia. Inoltre, ho avuto la gran fortuna di trovare una famiglia che vive a Londra e non in Culonia o nello Yorkshire, dove la vita sociale si riduce al pub del paese pieno di beoni.
Dopo aver fatto fagotto, fatto piangere la mamma, bisbocce con gli amici, giungo in UK con tante speranze e/o aspettative.
La nostalgia assale dopo appena una settimana, lo scazzo pure. Il cervello è in perpetuo lavorio: decifrare lingua sconosciuta, decifrare lingua sconosciuta.
Ho a che fare con due “mostriciattoli” di quattro e un anno. Uno mi accoglie come la peste bubbonica, l’altra non ha ancora chiaro come funziona la faccenda e accetta di buon grado la mia incombente presenza. Luca mi appellava come silly girl, ovvero, scema. Ma io non lo sapevo mica e ridevo convinta che mi stesse dicendo cose carine. Poi è passato al naughty girl, che mi ricordava tanto Beyonce, ma che in realtà di positivo aveva ben poco, difatti significa “bimba cattiva e disubbidiente”. Non parliamo della questione pannolino. Affrontare la cacca di bambino non è stato semplice, ho dovuto chiamare a raccolta tutte le forze in mio possesso, le quali si sono dileguate di fronte al lezzo di latte andato a male che fuoriusciva da quel loco infernale chiamato pannolino, o nappy, come si dice qui. Pensate che ho ringraziato i santi in cielo per l’eterno raffreddore che mi ha completamente distrutto l’olfatto per giorni e giorni. Aaah, che meraviglia.
Ho dovuto affrontare anche l’astio perpetuo del piccolo Luca, che per dimostrarmi il suo amore mi lanciava contro di tutto, mi riempiva di pugni e mi colmava di paroline dolci! Per fortuna tutto questo è un lontano ricordo, adesso siamo grandi amici e ogni sera, dopo il bagnetto, giochiamo a bouncy-bouncy nel mio letto.
Diciamolo, essere aupair è tutt’altro che una passeggiata perché devi entrare nei meccanismi ben oliati e radicati di una famiglia, seppur giovane. Non è stato semplice, mi sono ritrovata spesso a pensare di aver fatto una cazzata, e ogni volta che tornavo a casa mia, a Palermo, avevo solo voglia di stare lì a cullarmi nella dolcezza dei ricordi di quando ero studentessa e semi-spensierata. Non è così che vanno le cose, ahimè.
A marzo andrò via, so già che sarà dura lasciare quella che è a tutti gli effetti la mia nuova famiglia. Ho superato tanti limiti e ostacoli, e col senno di poi non mi pento di nulla.
Scusate se ho dato un taglio personale all’articolo, ma la conoscenza passa dall’esperienza, e mai come in questo caso, l’esperienza di chi ci è passato assume più valore. Io mi sento di consigliare di intraprendere un percorso come questo, sebbene ricco di insidie e momenti di sconforto, perché per quanto la filosofia che si cela dietro il termine aupair sia affascinante e allettante, ci sarà sempre un gap incolmabile, nel mio caso è stato così, in altri probabilmente no.
Presto tutto finirà e ricorderò questo tempo con calore e nostalgia, ma anche come il tempo in cui sono cresciuta, finalmente.