L’ultima volta che sono stata a Padova indossavo una gonna a fiori lunga e salutai i miei per un’oretta perché un amico da Salerno mi aveva detto che c’era Casarini (!) che aveva indetto un sit-in davanti alla facoltà di Scienze Politiche.
Ci sono tornata dopo parecchi anni con un bel trench con la cintura legata dietro la schiena, con i tacchi che risuonano sotto i portici intorno piazza delle Erbe. Il tempo è grigio e una foschia leggera avvolge le strade non appena diminuiscono le persone e si spengono le luci, la stessa foschia che diventa più densa in una Prato della Valle deserta e umida, tagliata in due solo dai fari delle biciclette che ci sorpassano e annientano per qualche momento il rumore dei tacchi. In centro negozi uguali in tutto il mondo si alternano a palazzi bellissimi e cortili perfettamente quadrati mentre i camerieri sorridenti per contratto aprono le porte del Caffè Pedrocchi “Buonasera signore, benvenuto”. Il vociare per strada è sommesso e quasi impercettibile, non riesco ad entrare nelle vite di nessuno, solo di due ragazzi all’angolo della strada che discutono su dove andare a prendere lo spritz. La sera in provincia scorre fastidiosamente lenta e dopo cena guardo dalla finestra di un albergo uguale a tanti altri, la foschia grigia che avvolge i palazzi, che sembra fuoco fatuo.
La strada è inversa questa volta e parto direttamente dai Giardini pieni di bambini usciti da scuola e di persone ben vestite con impermeabili e giacche spigate a fare la fila per l’ingresso. Le altre volte in cui sono stata a Venezia il caldo è sempre stato un po’ appiccicoso e fastidioso e l’umidità si insinuava dappertutto, dai capelli ai piedi; questa volta, nonostante il cielo grigio, la foschia e un sole giallo pallido, il clima è perfetto: né freddo, né caldo, i capelli restano come erano e soprattutto le foglie a terra sono color terra bruciata intensissimo e sembrano tante stelline di carta velina ritagliate a mano da qualcuno. Castello ancora una volta è il posto che più amo di questa città, dove il fatto di essere circondati da e sopra l’acqua sembra una cosa naturale e normale. Le interazioni sociali sono come quelle di tutto il mondo e ancora una volta tre o quattro veneziani in un campo, fanno casino come tre o quattro napoletani in una piazzetta. Nel tardo pomeriggio inizio a camminare senza meta anche se poi mi ritrovo sempre dove sapevo di voler andare, a risentire un profumo, a rivedere un volto, a rivivere una scena. Da Riva degli Schiavoni riprendo il vaporetto per l’insulsa terraferma, insieme ad una sposa portoricana con famiglia che va a sposarsi a Santa Maria della Salute. Incrocio gli sguardi delle persone affacciate sul lato di mare del Guggenheim e guardo con un po’ di compassione le belle donne in taxi che non alzano mai lo sguardo ai ponti e ai palazzi. Non bisogna mai abituarsi alla bellezza.
Il ritorno è una distesa di colline verdi e di frasi note “Tra le colline di Siena. Adagiato nel verde del Chianti. Immerso tra i vigneti”. Poi la luce finisce, sono le 5 ed è buio pesto. E ci sono solo fari e poi i centri commerciali di Roma Nord e Sud, i pastifici di Caserta, gli aerei che atterrano a Capodichino.
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