Lo stile li contraddistingue sempre per via dei testi “politically uncorrect”, gli strumenti energici, un mix vocale che efficacemente mescola le parti melodiche a quelle urlate, ma soprattutto la scelta di cantare in italiano per farsi capire immediatamente dai fruitori, riuscendo a distinguersi dal classico rock nostrano alla Vasco Rossi e Ligabue e, addirittura, influenzando tante nuove realtà musicali che hanno preferito l’italiano come mezzo d’espressione rispetto alla più internazionale lingua anglosassone. La band di nicchia comincia a farsi conoscere da un pubblico sempre più vasto tanto che una major come la Universal contatta i tre ragazzi di Milano e nel 2009 è pronto il secondo album “Tempi bui”. Nonostante le inevitabili critiche per via del loro passaggio ad un’etichetta di prestigio, i giudizi contro le melodie dell’album, con delle sonorità più riposate rispetto gli scream rabbiosi ai quali Davide Autelitano – voce e basso del gruppo – ci aveva abituato, i Ministri riescono ugualmente a dimostrare che non si cambia solo perché una grossa etichetta ti nota. “Tempi bui” riesce a contenere tracce valide come “La faccia di Briatore”, simpatica canzone in stile punk rock che fa il verso ad un certo tipo di mondanità patinata fedele al culto del dio denaro, e soprattutto critica di quei media che danno maggiore rilevanza al frivolo gossip, gettando invece nell’oblio notizie di gran lunga più importanti. A mio avviso, ogni volta che si vede il volto di un vip nei telegiornali, bisognerebbe ricordarsi che nello stesso momento non ci viene permesso di essere informati su ciò che di importante sta accadendo nel mondo: «Alla gente piace vedere la faccia di Briatore e non c’è niente da fare, ti devi rassegnare. Ha gli occhiali da sole e la faccia marrone che su di te non funziona. È una questione di faccia o di carta straccia?».
Oggi, il trio meneghino con “Fuori” riprende uno stile grunge che si lascia influenzare da tastiere elettroniche, così come succedeva agli esordi, quando la band aveva un quarto elemento e si chiamava “Ministri del tempo”. Tracce come “Tutta roba nostra” ne sono una testimonianza. In questo ultimo lavoro ci si può gasare, pensare e commuovere. Succede ad esempio col testo di “Vestirsi male”, dove Federico Dragogna, chitarra ed autore di quasi tutti i testi dei Ministri, fa una dedica alla madre. La canzone racconta di come ci si sente quando un figlio cresce e intraprende un proprio cammino, allontanandosi da casa e dalla mamma. Vengono evidenziate sensazioni ed emozioni vissute da parte di figli e madri che, immersi nella routine quotidiana, finiscono col farsi sfuggire il valore degli uni e degli altri. Ma quando, inesorabilmente, i figli diventano grandi e spiccano il volo, solo allora si è coscienti dell’importanza del rapporto indissolubile con i genitori: «Figli educati con le scarpe ancora bianche. Io le sporcavo per sembrare un po’ più interessante. Com’è difficile rimanere uniti, giorni persi a farsi odiare, credersi nemici. Cosa ti aspetti, cosa ti aspetti da me. Non potevo fare altro, credimi! Io sono piccolo così e tu sei troppo grande. Vuoi sapere come scappo? Come prendermi, vuoi vedere che non mi nascondo più». I Ministri e le loro giacche, i testi dai contenuti mai retorici, la disponibilità nel rispondere di persona ad ogni domanda posta su Facebook o nel blog, la semplicità, la simpatia e i prezzi modici dei cd e dei concerti, sono gli ingredienti fondamentali del loro successo e del seguito di fan che di anno in anno diventa sempre più copioso.