Minoritari o minorati?

Creato il 06 settembre 2010 da Patuasia

Difficile resistere al gioco di parole: non ce l’ho fatta. Però, una spiegazione che va al di là della semplice assonanza, c’è. Sono convinta che il raduno delle tradizioni del mondo, battezzato Festival dei popoli minoritari, sia un’idea ottima che potrà sostituire, in un auspicabile prossimo futuro, la stupidità dei vari raduni di automobili, vespe, api, trattori che propongono al pubblico inquinamento e rottura di timpani. Ottima idea, se si cambia il titolo della manifestazione e se si abbandonano la retorica e la demagogia che oggi la caratterizzano. In Europa non ci sono popoli minoritari, ci sono europei. In Italia non ci sono popoli minoritari, ci sono italiani e via dicendo. I veri popoli minoritari che rischiano l’estinzione sono, per fare qualche esempio: i Pigmei, i Boscimani, gli Aborigeni australiani, gli Yanomami, i Ticuna, i Masai, i Karajà, i Nuba… . Non bastano un dialetto, una tradizione gastronomica, dei costumi folcloristici per dirsi una minoranza, perché tutti gli abitanti della Penisola presentano peculiarità culturali forti e diverse fra loro. Trovatemi una Regione che non abbia una sua cucina, delle tradizioni proprie, un dialetto, una singolare cultura. Allora perché i valdostani dovrebbero essere considerati oggi una minoranza? (I leghisti insistono sull’esistenza di una lingua padana). Quando uno su quattro è di origine calabrese? Per non parlare delle altre origini venete, toscane che hanno creato l’attuale popolazione? E i marocchini, gli albanesi, i rumeni, i cinesi che ne costituiranno la prossima? Quella di essere una minoranza etnica è una sciocchezza di Regime! Pura ideologia che serve a nutrire le casse regionali. Una giustificazione per tamponare le falle di una cultura indigena agonizzante. Propaganda per sostenere una fragile identità svenduta al soldo del miglior offerente. Già negli anni ’60 i prati furono sostituiti dalle seconde case, indirizzo di sfruttamento del territorio ancora in corso; poi i contributi a pioggia avvelenarono la dignità del montanaro, minando la sua debole capacità imprenditoriale; poi ancora l’acquisto dei voti dei calabresi miscelò le due appartenenze ai rispettivi clan e diede origine a un malcostume che, sempre più spesso, degenera nel crimine. Parlare dunque di una cultura valdostana è fuori luogo. Rimangono però i souvenirs. Che sono preziosi e quindi vanno tutelati, protetti. Raccogliere in una grande manifestazione i numerosi ricordi che caratterizzano il folclore contadino di tutti i popoli europei è, lo ripeto, un’idea ottima per creare turismo di qualità. Un’operazione di marketing laica, pulita, sensibile, colta, originale e perfettamente adatta alla più piccola regione italiana. Cultura sana. Le prospettive si giocano solo in questo stato di salute. La propaganda, invece, alla lunga uccide le risorse (vedi alla voce lingua francese).


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