Di fatto, ognuno dei protagonisti avrebbe tutte le carte in regola per aspirare ad un briciolo di felicità o, perlomeno, di appagamento, ma le loro esistenze sono talmente confuse e ricche di orpelli, talmente basate sull'apparenza e l’esteriorità, che non possono fare altro che andare avanti per inerzia. I personaggi di Franzen, insomma, sono i perfetti prototipi della degenerazione della cultura occidentale: uomini e donne della media borghesia, senza particolari problemi ma depressi e insoddisfatti, che trovano negli psicofarmaci e nelle droghe un caldo rifugio e sono circondati da persone che non fanno altro che mettere in luce le loro mancanze e debolezze. L'autore americano è davvero abile nel tratteggiare i propri caratteri, umanizzandoli e ritraendoli ognuno con qualità peculiari e individuali. Il personaggio a mio avviso più interessante è senza dubbio Chip, intellettuale di 39 anni ossessionato dal sesso, animato da velleità sovversive e anticonformiste, ormai troppo vecchio e patetico per gli abiti di pelle che indossa. Nonostante le nobili intenzioni, è una caricatura di se stesso, ancora dedito alla vana ricerca di approvazione da parte dei genitori, segretamente giudicati responsabili per l’uomo che è diventato. Il suo vero problema, infatti, è la mancanza di autostima, acuita non solo dai rapporti famigliari, ma anche dall’indifferenza dei propri studenti ai temi di critica sociale che egli potentemente veicola durante le sue lezioni universitarie e che rimangono sostanzialmente inascoltati: «Tutti quei critici che si danno tanta pena per lo stato della critica. Nessuno che sappia dire di preciso che cosa non va. […] E chi crede di essere libero non è “davvero” libero. E chi crede di essere felice non è “davvero” felice». Quasi come una forma di protesta contro il declino della società occidentale, Chip si fa sedurre dalla giovane e avvenente Melissa, la studentessa che meno si mostrava interessata alle sue lezioni, testimoniando suo malgrado che il sesso è sicuramente uno dei due motori della società americana, ovvio compendio al secondo motore, costituito dai soldi. Contro questa certezza si era dovuto scontrare a sue spese lo stesso Chip, il quale «sino a poco tempo prima […] credeva che in America si potesse avere successo senza guadagnare un sacco di soldi».
Puntuale contraltare alle velleitarie aspirazioni del figlio, è la madre Enid, il cui mondo è a tal punto un «miracolo di perbenismo» che è in grado di emozionarsi per un’enorme piramide di gamberetti veduta al matrimonio dei ricchi vicini di casa e addirittura si sente offesa quando, durante una crociera autunnale a lungo sognata, il marito Alfred spezza l’atmosfera di eleganza cadendo involontariamente in mare. In sostanza Enid non riesce a comprendere i bisogni emotivi degli altri, forgiando nella sua mente i figli e il marito ad immagine e somiglianza di quanto ella si è prefissata a tavolino: «i suoi figli non erano intonati all’ambiente. Non volevano le stesse cose che volevano lei e tutti i suoi amici e tutti i loro figli».
Franzen riesce a trasmetterci con grande efficacia e in modo assolutamente credibile i pensieri e le emozioni dei personaggi, strutturando una tecnica narrativa che tornerà anche nel successivo Libertà, caratterizzata dal ricorso a continui flashback funzionali ad ambientare solo una parte del racconto nel tempo presente, quando l’azione descritta si è ormai già svolta. Ne deriva un potente senso di irrimediabilità che avvolge l’intero romanzo e che in forma maggiore di quanto accadrà in Libertà, qui si colora di tinte più tragiche e claustrofobiche, nella visione di un passato ormai irrecuperabile.
Jonathan Franzen, Le Correzioni, Torino, Einaudi, 2005.
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