Potenza della musica! Da quando gestisco questo blog (e anche prima, dai tempi di santeufemiaonline), avrò chiesto un'infinità di volte a mio fratello un articolo sui Pink Floyd. In alternativa, un argomento a piacere. Niente di niente, inviti sistematicamente andati a vuoto. Poi arriva il commento di Blackswan a un mio articolo e si compie il prodigio. Tra di loro ci deve per forza essere un'alchimia particolare, quella che accomuna le persone animate da una stessa passione. E questo è il bello della rete: persone che neanche si conoscono riescono a comunicare, ad emozionarsi, a vivere. Di questi tempi, è un miracolo.
Prima di tutto le scuse. Nonostante abbia molte volte avuto la “quasi voglia” di dire la mia sui vari argomenti discussi nel blog di mio fratello, mi sono sempre astenuto dal farlo; diceva il buon Raz: “sono fatti miei”. Stavolta no. E rinnovo le mie scuse per la prolissità di quanto segue.
Parto subito con un piccolo appunto a Blackswan (concedimelo in virtù del fatto che pochi eletti mi chiamano Blackman…): “feticismo” mantiene di fondo un’aura negativa, un’accezione “terra-terra” che non può associarsi all’arte. Nel mio caso (ma da quello che ho letto credo anche nel tuo) io sarei più portato a parlare di “estasi”. Emozioni fuori dai canoni, che se sei fortunato provi una volta nella vita. Ecco, in questo senso io sono MOLTO fortunato. Quando comprai The wall era il mio regalo a me stesso, compivo 14 anni. E sono venticinque anni che ogni volta che ascolto l’assolo di Comfortably numb mi commuovo fino al midollo. Il buon David l’avrebbe poi via via ritoccato fino a compiere il miracolo nel live Pulse. Perché, piacciano o meno i Pink Floyd, in quell’occasione Gilmour ha fatto vedere a Dio e agli uomini cosa si può fare con un pezzo di legno e sei corde.
Tempo fa mio fratello scriveva della notte più bella della sua vita. Per me c’è un prima e un dopo il 20 settembre 1994. Tutto qui. O si capisce senza parole, o non ne basterebbero milioni.
Per il resto, sono contrario alle classifiche, tutte ovviamente influenzate dai gusti personali (per lo stesso motivo diffido dei critici: di conseguenza, anche e soprattutto ciò che dico va preso con le pinze) ma un punto urge sia chiarito. Nella stragrande maggioranza dei casi, pochi prescelti dal fato realizzano un capolavoro. Piccolo inciso: sono appassionato di pittura e scultura, diciamo che nel mio piccolo qualcosa ci capisco. Ora, Michelangelo (tra le altre cosucce) ha scolpito il David, il Mosè e la Pietà. Fatemi sapere chi è il pazzo che può stabilire quale è il masterpiece.
Nel caso nostro, se possibile, l’affare si complica. Sorvoliamo sulla miriade di gemme disseminate qua e là nei vari album, cerco di stringere il più possibile. C’è chi ravvisa in The piper at the gates of dawn l’apice del movimento psichedelico (magari ex-equo col Sergeant pepper’s lonely heart club band degli Scarafaggi, coinquilini negli studi di registrazione in Abbey Road). C’è chi reputa la parte live del doppio Ummagumma il miglior album dal vivo mai dato alle stampe, anche in virtù dell’epoca di registrazione (un “preistorico” 1969). Alcuni considerano la suite eponima Atom heart mother la loro summa. Ma veniamo alla Triade.
The dark side of the moon, Wish you were here, The wall. Non mi fate il marchiano errore di considerare l’album di mezzo inferiore agli altri due. Non parlo di quello che tutti, ma proprio tutti, sanno. Vorrei spostare la vostra attenzione sul testo di Welcome to the machine e su Have a cigar, pezzo caratterizzato da uno dei più trascinanti attacchi di chitarra della storia del rock. Ne esiste una versione live (in Ivor Wynne, bootleg con purtroppo una resa appena accettabile) in cui Gilmour si può definire solo come una forza della natura. Foo Fighters, non è che per la vostra cover ci avete prima dato un ascolto? Comunque sia, aspetto pareri.
Prima di dire finalmente la mia (l’avevo detto che sarei stato prolisso, ma siccome dopo sparirò…) faccio i miei complimenti a Blackswan per l’apprezzamento nei riguardi di Animals. Proprio nel momento in cui il Punk tirava spallate per abbattere quei gruppi definiti “dinosauri del Rock”, i miei eroi uscivano con un album che, per cupezza di sonorità e testi, ha ispirato a qualche sconsiderato la definizione “Punk Floyd”. Un’onta da lavare col sangue. Io adoro il Punk, che sia chiaro, ma qui rasentiamo la blasfemia. Passiamo oltre.
A mio fratello non devo dire nulla. Naturalmente, conoscevo già i suoi gusti in merito. Sebbene per sua stessa ammissione non sia ferratissimo in materia, se l’è cavata egregiamente. Discorso a parte per ricordi ed emozioni. Cosa dire di uno che, all’attacco della seconda parte di Shine on you crazy diamond, quando tutti intorno erano ammutoliti perché non conoscevano le parole ed era rimasto solo “un tizio” a cantare a squarciagola (…!), gli affibbiò una pacca esagerata urlando “Ah! Tu la sai!!!!” ? O che, mentre sempre lo stesso tizio, famoso per non aver versato una lacrima in ben altri frangenti, non riusciva a trattenersi durante l’assolo di Comfortably numb, gli strinse una spalla dicendo “oh!??”, ricevendo come risposta “tutto a posto!!!”? Mick, mi sarei reso conto dopo (mai affrontato quest’argomento), non era lì, come me, per vedere i Pink Floyd. Era lì per vedere i Pink Floyd e me. Noi siamo cresciuti in simbiosi, praticamente come due gemelli (11 mesi di differenza d’età non sono nulla) e lui godeva della mia estasi. Il resto, voi capirete, è una faccenda solo nostra.
Ma ora finiamola. The final cut è stilisticamente perfetto, anche se l’ottimo Michael Kamen non avrebbe mai potuto sostituire in toto le tastiere di Wright, i suoi sognanti assolo modali suonati con una mano sola, ballando a volte su due (DUE…) sole note. Questo per mio fratello.
Animals è un lavoro ragguardevole, per molti gruppi in giro allora e/o adesso già raggiungere quei livelli sarebbe una grazia mandata dal cielo. Inattaccabile a distanza di quasi trentacinque anni.
Questo per Blackswan. Ah, piccola perla che magari già conosci: tornando a Wright, cerca due note in Ummagumma e poi ritrovale a morire in Animals, dopo una carriera quasi decennale…
The dark side of the moon, oltre a fare da spartiacque (il mondo prima e dopo…) è sicuramente il miglior album “corale” della band, nonché uno dei picchi della creatività umana. Un lavoro che dopo la bellezza di trentotto anni suona ancora moderno, fresco, innovativo. E inarrivabile. Ecco, solo in questo reputo Wish you were Here appena inferiore, nel sound che oggi arriva leggerissimamente datato. The wall, fatevene una ragione, non può essere né paragonato, né catalogato. Come si fa?
Partiamo dall’inizio. Gli altri album, prima della registrazione, hanno avuto tutti un rodaggio live. “Il muro” è stato tirato su indoor, mattone per mattone. Concepito e costruito, fin dall’inizio, per essere un concept musicale, uno spettacolo dal vivo e un film. Complessivamente, tre anni abbondanti di lavoro. Un’opera titanica. Bene dice mio fratello quando lo definisce “monumentale”. Nessun altro ha mai tentato niente del genere. E, divento presuntuoso al posto loro, nessun altro ce la potrebbe fare. Chiudo informando chi non lo sapesse di quanto segue: qualche anno fa The dark side of the moon e The wall sono stati elevati al rango di musica classica, accanto alla nona di Beethoven, o al Requiem di Mozart. Fanno ormai parte della Storia dell’uomo, quella con la “esse” maiuscola. Patrimonio dell’umanità. Non ho altro da aggiungere, a parte augurarvi di cuore un buon ascolto, qualunque tipo di musica vi piaccia ascoltare.