MIRO! Poesia e luce

Da Soniab

“Lo spettacolo del cielo mi sconvolge.   Mi impressiono quando vedo la luna crescente o il sole in un cielo immenso” . (Mirò 1959)

Questa frase dà il benvenuto ai visitatori della mostra Mirò! Poesia e luce al chiostro del Bramante a Roma. Racchiude l’essenza dell’arte di Mirò, mi ha anticipato a parole quello che mi sarebbe stato trasmesso di lì a poco attraverso le opere pittoriche: lo stupore per il mondo della natura, il fascino per il mistero della vita tra luci e ombre, la sensazione di piccolezza di fronte all’ immenso universo che ci circonda e il tentativo di comprenderlo, giocando tra scomposizioni e ricomposizioni.   Spensieratezza e malinconia insieme.

L’esposizione è incentrata sulla produzione relativa al periodo a Palma di Maiorca, dal 1956 al 1983, anno della scomparsa dell’artista. Procedendo tra le opere, stelle stilizzate in asterischi, lune, soli appaiono come elementi ricorrenti tra linee cariche della passione per la calligrafia e l’arte orientale, forme colorate e schematiche .  

Triangoli,rotondità.  Rosso, giallo, blu. Schizzi a matita intecciati a quelli a tempera.     

Esponente del surrealismo, anche lui attinge all’inconscio, al sogno e si lascia andare in un percorso senza coscienza dove lo porta il colore. Colore in senso materiale. Le macchie pesanti, l’impronta delle sue mani, il miscuglio di materiali diversi. Ispirato anche dall’espressionismo astratto americano infatti, Mirò sviluppa uno stile gestuale e dinamico, pittura anche con mani e dita, cammina sulla tela stesa sul pavimento e predilige anche formati più grandi.   La sensazione che ho provato è stata voglia di finirci dentro, buttarmi sul quadro per toccare quel colore, metterci le manie dentro.  L’intento di Mirò era quello di far provare una sensazione fisica per arrivare all’anima, l’ho letto solo dopo e direi che con me c’è riuscito.

La maggior parte dei quadri sono senza titolo, in linea con quel processo che fa dell’opera d’arte qualcosa di legato all’interpretazione di chi la vive, di chi la guarda. Ma alla fine del percorso tra le sale, mi ha assalita un’altra riflessione: Perché dare un significato, chiederselo? Credo non conti neanche quello soggettivo di me spettatrice.  Il valore sta nell’emozione, in ciò che si prova. Ed è ogni volta diversa.

Sagome e figure stilizzate si alternano all’opposizione bianco/nero.   La intenderei come vita/morte, leggerezza/drammaticità.  

Una personalità serena quella di Mirò, eppure inquieta, in cerca.   Segni di colore schizzati sulla tela, con violenza, anche rabbia forse.   E poi, la mescolanza di materiali, tempera, legno, chiodi e tanto altro.

La parte più comunicativa della mostra è quella in cui è ricostruito, in parte, lo studio di Mirò, che offre un’idea di come lui lavorasse, spesso concentrato su più opere contemporaneamente .Un vero e proprio laboratorio in cui si circondava di oggetti di ogni tipo, dai giornali a piante, libri, pennelli e tanti altri strumenti dai quali attingere ispirazione.

“Niente è stupido e banale, tutto può essere trasformato. Ne può nascere qualcosa di meraviglioso”.   L’arte permette di farlo con tutto ciò che si trova intorno e penso che Mirò volesse trasmettere l’idea di farlo anche con la vita.   Sperimentare. Con passione, attenzione, e cura.


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