Mister Amadeus Morrisson – racconto horror di Iannozzi Giuseppe

Creato il 13 dicembre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Mister Amadeus Morrisson

di Iannozzi Giuseppe

Riders on the Storm è Opera di Christian Rosenkreuz

Oramai sull’orlo dei cinquanta, ascoltava sol più Mozart, il Don Giovanni soprattutto, e mangiava brioche, mai pane né a pranzo né a cena. Da giovane aveva militato tra le fila della Sinistra anarchica, verso i quaranta, dopo un quasi incidente mortale, aveva visto la luce, aveva visto Cristo, ed era diventata una fanatica di Destra. Non si era mai sposata né aveva mai desiderato dei figli: adesso che non poteva più averne, da fanatica di Destra qual era perorava la necessità d’una famiglia e sparava a zero contro extracomunitari e contro tutti quelli che avevano la pelle leggermente bruna o tendente a un qualsiasi colore che non fosse il bianco. Da giovane era stata bruna, da vecchia si era fatta bionda fino a rovinare quella che fu una fluente chioma: a cinquant’anni suonati ne aveva ancora tanti, però bruciati sulle punte e spezzati.

* * *

La gente scagliava il pavè strappato da terra contro i capannelli di poliziotti, che reagivano con lacrimogeni e colpi di manganelli sulle teste nude dei dimostranti.
Tutti la chiamavano Mat: non era conveniente chiamarla Maria Antonietta, troppo lungo.
Mat si teneva al fianco di Jim, una sorta di Re Lucertola meneghino. Cantava a squarciagola, con tono rabbioso di cane alla catena: “When you’re strange/ Faces come out of the rain/ When you’re strange/ No one remembers your name…” Jim era il capogruppo: tutti lo seguivano, avesse comandato d’andare alla morte, non uno avrebbe esitato. Aveva carisma, trascinava nei guai. Mat l’ammirava ma soprattutto lo amava d’un amore viscerale, anormale. Ne aveva fatto il suo idolo, il dio del cuore e della sua figa, l’unica fede che meritava d’esser penetrata fino in fondo. Lo amava sì, adorava il suo cazzo bianco e duro, quel paletto che le entrava nelle viscere fino a strappargliele tanta l’amorevole violenza che ci metteva Jim nel darglielo. Quando aveva perso la verginità, Mat aveva infradiciato il lenzuolo di sangue: Jim l’aveva rassicurata, “Tutto bene, sei una bimba molto fertile, avrai dei bellissimi bambini.” Solo dopo aver consumato a lungo, Mat gli aveva detto senza mezze parole che lei non ne voleva di figli. Avevano discusso per un po’, nudi, seduti sul bordo del materasso ancora sporco di sangue per l’imene di lei strappato.

Palazzo Carignano sembrava avvolto in un sudario di sangue: i manganelli si abbattevano sulle teste, scavavano dentro agli stomaci, i giovani cadevano in ginocchio sputando e bestemmiando. La facciata del Palazzo, risolta in un movimentato gioco di linee concave e convesse, emanava un che d’ambiguo all’occhio che la fissava: Mat li vedeva bene: erano di fronte a lei, Jim muoveva il bacino come un pugile sul ring, cercando di evitare i colpi della pula, e ci riusciva egregiamente; gridava ordini, ma i compagni, presi sotto una pioggia di manganellate, o erano a terra o reagivano in maniera meccanica solo per farsi dare la botta finale.
Quando il colpo la prese, lei non se ne accorse: semplicemente cadde in un buco di buio avvolgente.

Rinvenne. C’era nebbia. No, era vapore. Jim stava buttando gli spaghetti dentro a un grosso pentolone militare, che avrebbe potuto cucinare pasta per mezzo battaglione.
Provò a mettersi in piedi, quasi cadde, ma nessuno corse a sostenerla: una volta in piedi ci rimase.
“E’ solo un bernoccolo, manco si vede.”
Mat farfugliò qualcosa, che solo Jim parve comprendere appieno, perché gli altri o non le badarono o erano troppo preoccupati per le proprie ammaccature.
“I capelli hanno attutito il colpo. Te l’ho detto, non si vede”, la rassicurò Jim mentre girava con un grosso forchettone a due punte gli spaghetti nel pentolone.
Mat si passò la mano sulla testa cercando il punto: lo trovò, era una collinetta sul suo cranio, non più spessa di qualche millimetro.
Quella notte, mentre gli altri fumavano dal narghilé, Jim e Mat lo fecero con un’intensità feroce: i loro orgasmi rimbombarono in tutto l’appartamento, in modo alquanto sinistro, quasi fossero grida di condannati a morte. E in sottofondo Jim Morrison, un vinile talmente graffiato dai passaggi che rendeva ruvida e inconsolabile la voce che il giradischi sputava: “Love me two times, girl/ One for tomorrow/ One just for today/ Love me two times/ I’m goin’ away…”

* * *

Le avevano dovuto praticare un piccolo foro nella calotta cranica per asciugare un grumo di sangue nel cervello: la botta era stata violenta, la Cinquecento rossa, dopo l’impatto, era ridotta a un cumulo di lamiere, ma Maria Antonietta, chissà per quale miracolo, ne era uscita non incolume ma viva. Era uscita dall’abitacolo con le sue gambe, caracollando: aveva guardato in faccia il sole d’agosto, e poi era stramazzata a terra con la delicatezza d’una piuma d’angelo. L’ambulanza l’aveva raccolta che era già in coma: all’ospedale arrivò priva di sensi ma non in condizioni disperate. Dopo la TAC, il neurochirurgo aveva evidenziato un ematoma per cui sarebbe occorso un piccolo intervento: Maria Antonietta rimase sotto i ferri per tre ore buone. Quando uscì dalla sala operatoria, il neurochirurgo, per la prima volta, la guardò in faccia: era sulla quarantina, ma era ancora bella. Le tastò il polso, più per routine che non per effettiva necessità: l’intervento era riuscito perfettamente, roba di tutti i giorni per uno come lui, e la donna non avrebbe riportato conseguenze, forse solo un’emicrania ogni tanto, niente di cui preoccuparsi.
Coma di primo livello: quando Maria si svegliò, la prima cosa che disse fu d’aver visto la Luce e d’esser stata baciata dal Figlio di Dio. Poi si sciolse in lacrime.

* * *

L’asfalto bruciava, in alcuni punti si squagliava come un panetto di burro. Era l’estate più calda degl’ultimi cinquanta anni. Jim le aveva telefonato all’improvviso, dopo anni che non si vedevano: lei non aveva alcuna intenzione d’incontrarlo ma aveva insistito, con troppa veemenza, perché Maria potesse averla vinta. L’aveva chiamata Mat, come un tempo: una gragnuola, ricordi – troppi ricordi – che s’erano riaffacciati alla memoria tutti insieme perché potesse bastare un colpo di spugna. Aveva ceduto. E adesso se stava pentendo amaramente: Mat o non Mat, non era proprio il caso che si ritrovassero.
Il caldo era impressionante: nonostante la musica, nonostante Mozart e l’acqua al limone, Maria bruciava. La pelle: di sudore, caldo e freddo.
Il campanello.
Era Jim.
Non faticò a riconoscerlo quando se lo ritrovò davanti: e subito gli colse negl’occhi una certa mollezza d’animo, che non era del Jim che l’aveva scopata con furia di satiro.
Non era calvo ma nemmeno un capellone: erano laschi, pettinati come da giovane, lunghi. Era una caricatura patetica. Le rughe erano troppe e non servivano gli occhiali a specchio per mascherare l’impietosa decadenza. Le sorrise: aveva un paio di denti d’oro, gli altri gialli, le gengive ritirate, malate. Era disgustoso. Teneva pantaloni attillati che mettevano in mostra un magra magrezza, un pacco ben misero. Suo malgrado, Mat non riuscì a trattenere un ghigno ironico: le se disegnò sulle labbra, ed Jim lo vide e non le disse nulla. E allora lei lo invitò ad entrare.
“Ti trovo bene.”
“Non sai mentire. Non sei cambiata in questo:”
Maria non lo contraddisse. Attese un secondo, poi gli cacciò in mano un bicchiere di limonata.
“Grazie. Ci voleva proprio.”
“Già. Una canicola così non si era mai sentita.”
“Colpa del buco nell’ozono.”
“Può darsi…” E liquidò la faccenda con uno segno insignificante tracciato nell’aria con l’indice inanellato.
“Mi hanno detto che te la fai con quelli della Destra.”
“Non credo ti riguardi. Se sei qui per questo, credo tu sappia trovare da solo la porta.”
”Non sono qui per questo”, la tranquillizzò lui. “Ti sei fatta bionda.”
“Non come avrei voluto. Oramai non sono più una bellezza.”
“Il tempo passa. Ma io ti trovo meravigliosa.”
Lei si finse lusingata. “Davvero? Sei un bugiardo. Ma sta bene lo stesso.”
“Che cos’è?”, e si toccò gli orecchi a cui stavano appesi due cerchietti d’oro.
Maria Antonietta stirò fuori una smorfia di disprezzo: “The Genius, Wolfang Amadeus Mozart.”
“Che nome lungo per un uomo solo.”
Adirata: “Amadeus. Tu non puoi capire. Sei rimasto il bifolco di trent’anni fa.”
“Rinneghi? Perdono: l’hai già fatto.”
”Non credo tu sia qui per chiacchierare della verginità che ti sei presa da me. Dunque?”
“Hai ragione. Non sei stata la sola ad avermela data.”
“Sono felice per te: sei sempre stato un tipo sanguigno. Però ora dimmi perché sei qui.”
“Me ne offriresti ancora?”, disse lui indicando il bicchiere vuoto.
“Perché sei qui?”
Jim si passò una mano fra i capelli, deglutì, il pomo d’Adamo andò su e giù, poi parlò con voce commossa: “Ho bisogno… di soldi.”
Maria non mosse ciglio: “Immaginavo una cosa del genere. Però non vedo perché dovrebbe darteli una nazista come me. Non mi chiamate forze nazista, fascista e via dicendo? Non negarlo…”
“Ho bisogno di soldi”, disse Jim dando fiato a un tono risoluto, o che almeno apparisse tale. “Altrimenti non sarei qui da te.”
“Sono l’ultima spiaggia, dunque!”
“Mettila pure così se ti fa comodo.”
“Che hai combinato?”
”Pedofilia. Intendo dire che sono accusato di pedofilia.”
”E’ di moda oggigiorno. Che c’entrano i soldi? Avrai pure un avvocato d’ufficio!”
“Non è questo il problema.”
“E qual è? Io non l’ho capito.”
”Io sono innocente…”
“Non m’interessa. Lo sono tutti quelli come te: non fate che ripetere la vostra innocenza. Dimmi piuttosto qualcosa che non so.”
Jim deglutì: sapeva che non l’avrebbe spuntata con facilità, ma quella vecchia cagna di Mat si stava rivelando un osso più duro del previsto.
“Affari.”
“Cominci ad esser più chiaro. Ma non abbastanza.”
“Potresti almeno tentare di nasconderlo il disprezzo.”
”E perché mai? Sei quel che sei, o no? Ah, già, tu sei innocente. Non sei come gli altri. Non hai debiti con quelli che te li passano gli agnelli. Mafia? Trafficanti di – come si dice in questi casi? – … di bambini? E’ a loro che devi dei soldi.”
”Non sono cose che ti riguardano.”
“E invece sì.”
“Cosa vuoi?”
“Sei un pezzente, non c’è niente che voglia da te.”
“Quant’è che non scopi? Una vita, te lo si legge in faccia.” E così dicendo le strappò la gonna di dosso. Mat non gridò né altro: lasciò che Jim la mettesse a novanta, che le strappasse le mutandine nere: “Si può fare. Hai un bel culo nonostante tutto.” E la penetrò analmente. Il pene scivolò dentro senza difficoltà.
“Forse mi sbagliavo. Non ti sei negata…”
“Dillo, dillo che il Duce è un grande uomo. Dillo, per Dio! Dillo mentre mi fotti, o non vedrai una lira.”
“Obbedisco, Signora.” E prese ad andarle dentro aritmicamente tirando fuori dalla strozza urla belluine e parole: “Cristo, il Duce ti fotte da dio… da dio… Il Duce è grande e duro. E’ dentro di te… ti fotte da dio…”.

* * *

Non era stata una passeggiata: Mat l’aveva prosciugato. Era un miracolo che non si fosse infartato. Mat, nonostante le idee di arianesimo purezza della razza famiglia e religione, era come tutte le femmine, una gran troia: non fosse stato così, non glieli avrebbe spillati i danari di cui aveva bisogno.
Passò davanti a Palazzo Carignano: in tanti anni non era cambiato affatto, solo la piazza era stata stravolta – da un qualche architetto un po’ troppo futuristico o solo incapace. Il pavè era lo stesso di tanti anni fa, o forse no: non che gl’interessasse veramente. In testa aveva ancora l’eco delle note di Mozart: il fatto lo sconvolgeva ancora; e pensare che un tempo ascoltava la sua voce che imitava quella di Jim Morrison. Mentre chiavavano, Maria aveva gridato parecchio, l’aveva anche detto Mister Amadeus Morrison per poi scoppiare a ridere in maniera del tutto isterica, ma senza dimenticare di tornare a invocare la grandezza del Duce. Gli scappò una risata strozzata che riecheggiò per tutta Piazza Castello: lì, un tempo non lontano, i proletari staccavano il pavè da terra e lo scagliavano contro i cordoni della polizia. Si toccò la patta scoprendo d’avercelo ancora duro: e in tasca l’assegno che gl’avrebbe salvato la pellaccia. Quella Mat era fuori di testa, una gran troia a disposizione della Destra ma anche della Sinistra. Peccato che non avesse una figlia, un vero peccato.

Il caldo era d’inferno: squagliava l’asfalto, era un inferno di tutto rispetto, la gente si muoveva come al rallentatore, sudata, con le ossa dolenti e la pelle arrossata e umida, sporca d’animalità. Jim sentiva l’afrore animale entrargli nelle narici: poteva respirarla tutta quella umanità accaldata.

L’indomani Jim entrò in banca, s’affrettò a occupare il primo sportello libero e subito squadernò sotto gli occhi dell’impiegato bancario l’assegno, sottolineando che ne aveva bisogno in contanti, in pezzi da cento.
“Mi spiace, Signore, l’assegno è… non può incassarlo.”
Jim a stento trattenne una bestemmia: ‘Maledetta troia.’
“Qual è il problema?”, domandò con finta calma.
“Semplicemente questo assegno non può essere incassato: la Signora è morta l’anno scorso.”
Senza scomporsi, Jim cercò di comprendere quanto gli veniva riferito: “Non è possibile. Me l’ha dato Maria di sua mano, l’ha scritto sotto i miei occhi…”
”Signore, qualcuno deve averle tirato un brutto scherzo.”
“E’ sicuro… cioè…”
“Maria Antonietta è deceduta esattamente un anno fa. Non lo sapeva?”
Ebbe una vertigine: “Deceduta?”
“Una brutta storia, Signore.”
“Me la racconti, in breve…”, farfugliò preoccupato, sì, ma di capire chi l’aveva preso per i fondelli.
“A quanto si dice, la Signora si era fatta accompagnare a casa da un naziskin, uno di quei giovani, una testa calda. Era su tutti i giornali: l’hanno ritrovata al mattino tutta nuda, col sedere all’aria e l’ano sfondato…”. Il banchiere si grattò la gola, poi proseguì: “Ma non fu quello a ucciderla. Prima l’aveva strangolata, poi dopo… lei mi capisce, mi sembra un uomo di mondo…”.
Cercando di mantenere un aplomb dignitoso, che non aveva per carattere oramai da una lunga pezza: “Ha detto che la storia era su tutti i giornali…”.
”Infatti è così. La cosa fece scandalo in certi ambienti.”

Fece il numero di Mat. Il telefono dava il segnale di libero, però non rispondeva nessuno.
Con l’affanno in bocca corse, attraversò mezza Torino salendo e scendendo da bus e tram. Alla fine si trovò faccia a faccia con la casa di Mat. Si assicurò che il campanello fosse al suo posto, che non fosse quello di qualcun altro: nessun possibile dubbio, quello era proprio l’appartamento di Mat.
Suonò.
Nessuno rispose ma gli fu aperto.
Salì, non attese l’ascensore.
Era lei, era Mat, Maria Antonietta, non c’era alcun dubbio.
Era davanti a lui che rideva di lui.
Gli doveva delle spiegazioni. Per dio, se gliele doveva.
Strinse i pugni fino a farsi venire le nocche bianche, le sorrise con la mascella dura. E obbedì all’invito: entrò in casa.

* * *

Jim uscì dall’appartamento, sulle sue gambe. I capelli gl’erano diventati tutti bianchi.

“Non mi venire a dire che sei un fantasma.”
“Non lo sono.”
“E nemmeno che sei la sorella gemella di Maria.”
“Non lo sono.”
“Sei Maria Antonietta, Mat.”
“Non lo sono.”
“Allora chi cazzo sei?”
“Quella che vedi.”
“Sì. E chi saresti?”
“Chi vorresti che io sia?”
“Senti, non ho tempo per questi giochetti. Mi hai firmato un assegno morto. Un bello scherzo. Peccato che la pelle sia la mia.”
“Nessuno scherzo.”
Jim fece una pausa: la guardò ben bene nelle palle degl’occhi: non c’era alcun dubbio, quella lì era Mat, pazza sì, ma era proprio la Maria Antonietta che lui conosceva.
“Sono uguale a lei, a Mat. Potrei essere lei. Forse lo sono. Ma: Mat è morta, un anno or sono. Si trova all’inferno in questo momento e non ne uscirà tanto facilmente.”
“Mat, tu sei matta.”
“Gli uomini! Allora Jim, non mi vuoi scopare?”
“Voglio ciò che mi spetta, i soldi.”
“Non volevi fottermi?”
“I soldi…”.
“Non perdere la pazienza.”
“I soldi…”.
“Non vuoi proprio? Eppure mi pare che l’ultima volta ti sia divertito un mondo.”
“I soldi…”.
“A momenti mi rompevi il culo. Non vorresti riprovarci? Magari questa volta ci riesci, Mr. Amadeus Morrison.”
“Piantala di chiamarmi così!”
“Come? Amadeus Morrison? Mi pareva ti donasse.”
“Dammi i soldi, e non mi vedrai mai più: te lo assicuro.”
“Tu non sei in grado di assicurare niente in questo momento né in un altro, tanto per mettere i puntini sulle i; quindi vedi di calmarti.”
“Mi calmo un cazzo: c’era un accordo e tu non l’hai rispettato. L’assegno era morto.”
“Mat è morta: cosa pretendevi?”
“Mat, non mi far perdere la pazienza.”
“Perché, se la perdi me lo sbatti in culo come l’ultima volta? Allora è proprio il caso che tu la perda la pazienza.”
Jim vide rosso.
Un baleno. Le fu addosso prima di rendersi conto che le mani già stringevano il collo di Maria Antonietta, ma era come tentare di soffocare una colonna di marmo tanto era duro.
Mat gli rideva addosso, a bocca spalancata, una risata afona infernale che sapeva di putrefazione. Prima che potesse comprendere, prima che potesse anche solo tentare di scappare, si trovò piegato a novanta, e Mat dietro di lui.
E il suo urlo, di uomo usato come una donna. In verità un urlo più animale che umano: di dolore. Di eco che pareva non dovesse mai aver fine.

Era fuori, all’aria aperta. Non ci credeva quasi. Aveva male dappertutto.
Si trascinò lontano, il più lontano possibile mentre il sole gli baciava la fronte con un rosso alieno. Si trascinò in mezzo alla gente, che lo scansava mostrando insofferenza in una smorfia di disgusto. La testa gl’era pesante come un àncora rugginosa dimenticata in fondo al mare. Capiva poco o niente: solo che doveva camminare finché le gambe gliel’avrebbero consentito.

Quando la puzza si fece troppo forte, la porta finalmente venne buttata giù dai pompieri chiamati dai vicini di casa: Jim era disteso sul divano, le guance scavate, i pochi capelli lunghi e bianchi aperti a mo’ di rosa sotto il cranio, la bocca spalancata coi denti d’oro bene in vista, gli occhi allucinati puntati sul soffitto, vestito coi soliti stracci, quelli d’un magnaccia dappoco che può tranquillamente esser scambiato per un borderline.
L’autopsia decise che l’uomo era morto per cause naturali, infarto del miocardio: una vita sregolata, portata all’eccesso per troppi anni, lo aveva stroncato. Nessuno dei vicini lo pianse o lo ricordò per più di qualche giorno. Solo qualche lingua lunga continuò a dire, di tanto in tanto, che Jim non era morto così da un momento all’altro, che qualcuno lo aveva fatto fuori perché non si muore mai per cause naturali. Che se era morto era perché il diavolo aveva voluto strappargli l’anima dal petto. Quando venivano fuori simili fantasiose teorie, tra i condomini si diffondeva un’isterica risata bassa e poco divertita: in segreto tutti sapevano che Jim non era deceduto per cause naturali, ma l’autopsia aveva stabilito diversamente. E poi con quell’uomo non erano mai stati amici né confidenti: però li preoccupava che un’uguale fine potesse toccare anche a loro un giorno o l’altro.

* * *

“I fasci non ci avranno mai, mai Mat!”
Mat gli sorrise: convinta e non convinta. Però in quel momento lo amava. O s’illudeva che così fosse. Ed era sicura che avrebbe potuto avere tanti figli, da un uomo o più di uno, proprio come le aveva detto Jim. Però lei i figli…: no, non li voleva, troppo giovane; e poi i figli sono sempre inutili come cani bastardi con la diarrea e la rabbia. Inutili.
“Moriranno mai i fasci, intendo dire: moriranno una volta per sempre?”
Jim le sorrise: “Se ci impegneremo, se ci impegneremo domani i nostri figli vivranno in un mondo senza né fascisti né pressappochisti. Dipende da noi.”
”Dipende da noi”, masticò Mat, convinta che quella fosse l’unica verità e l’unica forza di cui ci fosse bisogno per un mondo migliore, per un futuro migliore e possibile.

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