La prima domanda che sorge spontanea: da dove iniziare?
A ben vedere anche la nascita di Roma, la città che diventerà Caput Mundi, è avvolta nel mistero, con la sua affascinante leggenda sui gemelli Romolo e Remo allattati dalla Lupa.
Per vedere l’Italia politica, da quel fatidico 753 a.C. ( data nota come “ab Urbe condita”) dovremo aspettare più di 2.600 anni.
Troppo lunghi per le mie modeste ambizioni, e troppi misteri per il tempo a disposizione.
Preferisco parlare subito e direttamente della Repubblica Italiana, limitandomi al periodo che ho vissuto come testimone dotato di un minimo di consapevolezza, concedendomi qualche flashback e qualche fuga in avanti.
Inizierò così la mia storia partendo dagli anni settanta.
Nei primi anni settanta hanno luogo avvenimenti cruciali nella storia recente della Repubblica Italiana.
Ancora non si sono spenti gli echi della bomba di Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), che si viene a sapere di un colpo di stato programmato (e poi revocato dallo stesso ideatore) dal principe Junio Valerio Borghese (nomen omen, scriverà qualche ideologo di sinistra, all’epoca), figura di spicco della Repubblica di Salò, in combutta con la loggia massonica P2 di Licio Gelli, per sovvertire le istituzioni repubblicane.
Al Quirinale, con i voti del Movimento Sociale Italiano, capeggiato da Giorgio Almirante, era stato eletto il democristiano Giovanni Leone, destinato a non completare il settennato a causa di un processo in materia di tangenti che lo vide coinvolto, antesignano dei grandi processi di Tangentopoli che, venti anni dopo, affosseranno ingloriosamente la Prima Repubblica.
Nel frattempo le indagini per la strage di Piazza Fontana imboccano stranamente e misteriosamente la pista anarchica, portando all’arresto di un ballerino dalla vita sciroppata, un certo Pietro Valpreda, il capro espiatorio ideale per un’opinione pubblica impaurita e benpensante, preoccupata di tutto e di tutti (degli studenti capelloni, delle droghe, della musica psichedelica, degli estremisti di destra e di sinistra, degli anarchici, del caro-dollaro e del collegato caro-petrolio, della guerra fredda, di quella del Vietnam, dell’avanzata delle donne che rivendicano la loro libertà sessuale, del risveglio del movimento degli omosessuali, degli scioperi, dell’inflazione e persino degli UFO).
La stampa si butta a pesce sul mostro Valpreda: ballerino, separato e anarchico. quali altri prove si aspettano per fare giustizia del responsabile della strage di Piazza Fontana?
La controinformazione di sinistra si scatena sul fronte opposto, dopo che un altro anarchico, Giuseppe Pinelli, amico di Valpreda, vola misteriosamente dal quarto piano della questura milanese, nel corso di un drammatico interrogatorio, teso probabilmente a fargli ammettere delle colpe non sue. Il commissario Luigi Calabresi viene additato come il responsabile di quella morte truce e inspiegabile. Il 17 maggio 1972 anche la vita del commissario Calabresi viene crudelmente spenta, come quella di Pinelli, come quella delle 17 vittime di Piazza Fontana; e come i morti delle stragi che seguiranno nel 1974: quelli sul treno Italicus a Milano e quelli di Piazza della Loggia a Brescia. Tutte vittime innocenti e inconsapevoli di un periodo oscure, in cui forze occulte e tenebrose hanno tramato per fini politici contro l’Italia, fragile crocevia di uno scacchiere politico internazionale che vedeva contrapposti cinici imperialismi atlantici e orientali, che hanno mosso le loro pedine in maniera spericolata, in una lotta spietata, all’ultimo sangue, la cui posta in gioco era il potere e la supremazia in Europa e nel mondo intero.
Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro (marzo-maggio 1978) vanno letti in questa ottica. altrimenti resteranno per sempre retaggio di quel groviglio di trame inestricabili e di disegni tanto temerari quanto inconfessabili, arditi e illeciti, che hanno visto coinvolti pezzi deviati dei servizi segreti italiani, gruppuscoli terroristici di destra e di sinistra, servizi segreti americani e sovietici, spie venute dal freddo e teste calde venute da lontano. Il tutto in nome del potere, mascherato dall’ipocrisia della giustizia, dalla retorica comunista che voleva il riscatto delle masse popolari, oppresse dall’imperialismo borghese; ma anche dal maccartismo cieco e barbaro, che vedeva nel diverso, nel comunista, nell’anarchico, nell’omosessuale, nell’artista eccentrico e anti-borghese, il nemico da battere (e da abbattere).
Nascono ballate, canzoni, pièces teatrali per celebrare la vittima dell’arroganza borghese, Giuseppe Pinelli, colpevole, prima di tutto, di essere un anarchico. Non saprei dire perchè non siano nate canzoni anche per Luigi Calabresi, per le guardie del corpo di AldoMoro e per lo stesso onorevole democristiano, vittima di un sistema democristiano che non volle e non seppe accettare e rischiare per un’alternativa che aprisse la società italiana verso il futuro. Il sangue di Aldo Moro (e delle altre vittime innocenti) è ricaduto su di noi, come il sangue innocente di Cristo, in un contesto universale e perpetuo, ricadde sui figli dei responsabili. E gli innocenti, come Cristo in Croce, continuano a piangere per il male perpetrato dai malvagi.
In quegli anni frequentavo l’istituto Tecnico per Ragionieri “Leonardo da Vinci” di Cagliari.
Noi studenti, testimoni e vittime di quegli inganni del potere, non volevamo essere complici passivi e partecipi inconsapevoli di quelle manovre, di quelle stragi; e a modo nostro ci ribellammo.
Da parte mia (come di tanti altri) fu una ribellione pacifica; rumorosa ma non violenta; scomposta e confusa ma sincera; dietro il pretesto della guerra del Vietnam e delle altre guerre imperialiste (come in effetti furono l’invasione dell’Ungheria prima e quella della Cecoslovacchia poi); dietro gli slogans apparentemente vuoti e di facciata, si celava il nostro desiderio di capire cosa stesse succedendo veramente nel mondo; la nostra voglia di libertà; l’ambizione di poter contare e di potere incidere su una realtà più grande di noi. Altri ci provarono invece con la forza armata, con la violenza. Ma il nemico, palese oppure occulto che esso fosse, era più forte di loro e li ha sconfitti.
Anche noi siamo stati sconfitti, ma almeno non ci siamo macchiati le mani di sangue innocente.
E forse ha ragione il poeta quando scrive che i migliori della nostra generazione, quelli che hanno rifiutato la violenza e propugnavano solo la pace, l’amore e la musica, sono morti nelle spirali di morte della droga oppure affogati nei fumi dell’alcool. Noi siamo i superstiti di quella stagione e abbiamo il dovere di raccontare ciò che abbiamo visto e vissuto: senza falsità senza alibi, senza scuse, senza nostalgie, senza sensi di colpa, senza vanagloria, senza mitizzare un passato che va soltanto raccontato e, tutt’al più, analizzato. Non certo mitizzato.
Oggi capisco perché i nostri governanti non vollero intervenire contro di noi in maniera frontale e diretta, preferendo controllarci e tenerci a bada da lontano.
In alto si giocava una partita più grande e più importante.
Per i nostri governanti era fondamentale poterla giocare sino in fondo. Una rivolta interna, o peggio, una rivoluzione, non rientrava nei loro piani. Qualche schedatura alla DiGos e qualche colpo di manganello potevano bastare.
1. – continua