- non ci sono soldi. Questa è tra le più diffuse ed ha gravi conseguenze (vedi il punto 3), peccato che non abbia senso: le scelte si possono fare sempre, anche se i fondi sono pochissimi. Paradossalmente, ci sono moltissime buone politiche che si possono attivare a costo zero: banche del tempo, gruppi di acquisto solidale, centrali di scambio, riparazione e riuso. La chiave importante è appoggiarsi alla partecipazione per compiere queste scelte. A livello comunale fanno scuola i comuni virtuosi.
- abbiamo già preso impegni con terzi. Questa la tirano fuori quando non sanno più come giustificare le decisioni più scellerate che non passano nemmeno una valutazione tecnica (la maggior parte delle grandi opere che ho studiato sta in questa categoria). La domanda da fare a chi tira fuori questa scusa è: tu, amministratore, chi rappresenti? Un’impresa? Uno stato estero? O i tuoi cittadini?
- il privato è più efficiente. Questa era una frase che abbiamo sentito spesso (e purtroppo continuiamo a sentire) durante la campagna referendaria per l’acqua. A parte che bisogna capire cosa si intende per efficienza (in molti casi il pubblico è molto più efficiente), il parametro da guardare secondo me è l’efficacia: si ottengono o meno gli obiettivi? Il compito di un ente pubblico è offrire un servizio, il compito di un ente privato è fare profitto, la differenza è chiara. Assessore che fai queste sparate, il pubblico sei tu: se dici di non essere efficiente, dimettiti.
- è difficile. Questa l’ho sentita spesso da amministratori i cui partiti hanno sostenuto il patto di stabilità (tutti quelli dal centro destra al centro sinistra). Certo, la legge impone dei vincoli forti ma se per te è difficile, lascia stare, non ti candidare nemmeno.
- ce lo chiede l’Europa. Questa è simile a quella al punto 2 ed è tutta da verificare, ed in molte circostanze viene smentita (ad esempio nessuno ci obbliga a privatizzare). Quando si tratta di togliere diritti viene sempre fuori l’Europa, mai quando si tratta di garantirli. E così glissiamo sugli standard europei di salute, partecipazione, diritti dei lavoratori. Curiosità, l’ex ministro Damiano, del PD, partito che ha sostenuto il patto di stabilità, adesso va in giro dicendo che ai comuni bisogna levarlo. Una volta simili opportunisti li chiamavano Voltagabbana
- il comune è come un’azienda. Concludo con questa evergreen. No, l’ente pubblico non è un’azienda, ha una struttura diversa, sottostà a regole diverse e, soprattutto, ha finalità diverse. L’ente pubblico è dei cittadini e per i cittadini.
Questi stereotipi non fanno parte dell’immaginario della lista civica ViviAMO Serra Riccò, a cui sto lavorando.