Infatti quale altro significato può avere la dottrina economica neoliberista che vede nello stato e nel welfare il male supremo? Quale altro senso si può dare a teorie che predicano la competitività sulla base dell’impoverimento e dello scasso dei diritti? Tutte cose che fanno scandalo se le dice Romney durante una delle sue notti brave elettorali, ma che invece vengono accolte come inappuntabili perle di saggezza se le dicono la Bce o l’Fmi ed entusiasticamente accolte come vangelo europeista se arrivano da Bruxelles. Ma sono la stessa identica cosa. E corrispondono pienamente a quelle frasi che la Fornero non ha alcun imbarazzo a dire, tipo “il lavoro non è un diritto ma una conquista” o ”se istituissimo un salario di disoccupazione gli italiani se ne starebbero a mangiare pasta col pomodoro”. E s’incastrano come la tessera di un puzzle dentro i provvedimenti governativi sempre a favore delle banche, del capitale e dei ricchi o nelle operazioni di Marchionne o ancora dentro la vacuità progettuale della politica che chiacchiera fino allo spasimo senza dire nulla.
Se ci si scandalizza di Romney, non vedo perché non ci si debba scandalizzare di una cosiddetta austerity che colpisce immancabilmente quel 43% di italiani o forse anche di più, viste le differenze con la società americana, che si vede man mano strappare i diritti, i servizi, le pensioni e la dignità. Tanto più che da noi si fa un abbondante uso dell’inglese per nascondere la semantica della verità. Ma certo è comodo scandalizzarsi per il candidato repubblicano non accorgendosi o facendo finta di non accorgersi che la radice delle sue parole e di quelle che ascoltiamo tutti i giorni è la stessa. Da noi non c’è bisogno di rubare alcuna dichiarazione: parlano i fatti, ammesso che li si sappia ancora vedere.