Come mi capita spesso all'uscita dalla sala, quando il film lo consente, provo a frenare il fiume di reazioni emotive che cercano una via di uscita. Non tanto per paura di esagerare o di dire qualche stronzata che sono costretto poi a rimangiarmi, quanto per il piacere di mescolare le sensazioni a caldo con il retrogusto più ragionato del giorno dopo.
Avrei voluto fare la stessa cosa con This must be the place di Sorrentino, che volendone parlare bene o male è sicuramente un film complesso e che merita di non essere liquidato in due parole. Non sarebbe stato giusto fermarsi alle impressioni di ieri sera, le emozioni ancora vive delle immagini e della musica unite alla sensazione di una trama in diversi punti volutamente abbozzata e mai completamente definita.
Mi fermo ai condizionali. Perché stamattina non ho avuto il tempo di fermarmi a pensare, dopo il caffè e prima di accendere la tv. L'incidente a Simoncelli, la sua morte in diretta, l'imbarazzo e la tristezza dei commentatori tv, i visi scossi dei suoi avversari e amici. Non ho avuto il tempo di pensarci, semplicemente. Troppe cose in testa in quel momento, troppe immagini, poche parole, troppo fumo. Troppo per poter tornare ai pensieri originali.
E per ora l'unico mix che in questo stadio è riuscito a formarsi è confuso, inaspettato, assurdo, inutile, con un forte saporaccio agrodolce. E' lui che torna senza bagaglio, è l'altro che perde moto e casco, entrambi irrimediabilmente colpiti e cambiati, sono due parti di sollievo e tre di disperazione.
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