Modernità liquida (Bauman, 2000)

Creato il 03 ottobre 2012 da Philomela997 @Philomela997

Progetto Epistole Politiche - Prospettive teoriche preliminari

Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925) è un sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche.

Da Carmilla Online (Intervento di Francesco Giacomantonio)


Zygmunt Bauman è uno dei più noti sociologi contemporanei. Nelle sue opere si è occupato di una serie di temi rilevanti per la società e la cultura contemporanea: dall’analisi della modernità e postmodernità, all’Olocausto, al ruolo degli intellettuali, fino ai più recenti studi sulle trasformazioni della sfera politica e sociale indotte dalla globalizzazione. Attualmente insegna Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Tra i suoi libri: Modernità e olocausto (1999), La decadenza degli intellettuali(1987), Le sfide dell’etica (2002), La solitudine del cittadino globale(2002).
In Modernità liquida (Laterza, 15.00 euro) – testo che si può considerare l’anello di congiunzione tra due altre opere di Bauman, La solitudine del cittadino globale e La società individualizzata - il sociologo polacco descrive la società attuale sulla base dell’idea della liquidità: Bauman vede ogni dimensione del sociale attraversata da una forte instabilità, da una sorta di fluidità appunto. L’argomentazione si sviluppa lungo cinque capitoli dedicati all’emancipazione, all’individualità, al tempo e allo spazio, al lavoro, alle relazioni sociali.

Nel primo capitolo si affronta il tema della libertà: la modernità ha affrancato gli uomini da molte dipendenze, ma tale liberazione è un bene o un male? Già Hobbes e Durkheim sottolineavano che la sottomissione normativa dell’individuo alla società era la paradossale condizione della sua liberazione. Oggi, l’individuo si sente perso, proprio perché slegato da ogni vincolo. Si mostrano allora i tratti che distinguono il moderno tradizionale dal moderno attuale. In entrambi i casi, gli uomini cercano di superare i propri limiti, ma nella condizione attuale due sono i tratti nuovi:

1. il fatto che sia crollata “la convinzione che la strada lungo cui procediamo per superare i limiti abbia un fine raggiungibile” (p. 19);

2. la deregolamentazione e privatizzazione dei compiti.

Questi elementi sono all’origine della crisi della cittadinanza – discussa, anche attraverso categorie più riconducibili alla filosofia politica, ne La solitudine del cittadino globale. Su tali basi, l’A. ritiene che il compito di una teoria critica sia destinato a mutare nella società odierna: la teoria critica e la filosofia in generale non hanno più di fronte il problema di un’ingerenza eccessiva e totalitaria delle istituzioni e della politica sulla vita degli individui, quanto piuttosto la questione della sfera pubblica che deve essere difesa dall’invasione del privato “al fine di accrescere, non ridurre, la libertà individuale” (p. 48).
Correlato ai problemi della libertà è lo stato dell’individualità. L’A. introduce l’idea del passaggio a un capitalismo leggero, ossia da un capitalismo weberianamente orientato a enfatizzare il momento della scelta dei mezzi e della burocrazia a uno che invece pensa ai fini da perseguire. Conseguentemente, anche la fase del consumismo muta: l’attività del consumatore, più che identificarsi nel soddisfacimento di bisogni articolati, coincide con l’ambito del desiderio. Il consumo diventa elemento di costruzione delle identità.

La dimensione della modernità liquida si caratterizza anche per un particolare sfondo spazio-temporale. Innanzitutto, molti luoghi delle società contemporanee tendono, nelle realtà urbane, a esiliare l’altro oppure ad annullare la diversità (è il caso delle aree di consumo). Inoltre, alcuni luoghi si configurano, sostiene Marc Augè, come non-luoghi: è il caso di alberghi o aeroporti, sono “spazi privi di espressioni simboliche di identità, relazioni e storia” (p. 113). Anche la sfera temporale presenta nuove caratteristiche: attraverso l’aumento della velocità delle comunicazioni e degli spostamenti, la modernità liquida ha reso molte esperienze accessibili con immediatezza. Proprio questa centralità dell’immediato nel mondo attuale mina fortemente gli elementi della memoria del passato e la fiducia nel futuro che sono stati sinora “i ponti culturali e morali tra fugacità e durabilità” (p. 147) e “tra assunzione di responsabilità e filosofia del carpe diem” (ibid.).

Nel quarto capitolo, l’attenzione s’indirizza sul momento del lavoro. In passato, l’attività lavorativa si fondava sull’idea che essa potesse aiutare a migliorare, si legava cioè all’idea della fiducia: anche tale idea si è venuta progressivamente sciogliendo. Viene meno la fiducia nella politica, a causa della crisi nelle istituzioni, in primis lo stato, incapaci di guidare efficacemente le società attuali; viene meno la fiducia nella scienza, che ora scopre “l’indole endemicamente indeterministica della natura del mondo” (p. 155). Il lavoro, in questa condizione di insicurezza di tipo “indivilizzuatrice” (p. 170), assume un significato principalmente estetico: “Ci si attende che sia gratificante di per sé anziché essere valutato in base ad effetti reali presunti che arreca al prossimo o al potere della nazione e del paese” (p. 160).

Nel capitolo conclusivo, l’A. si sofferma sull’attenzione, posta da alcuni teorici, sulla dimensione della comunità come possibile rifugio per gli individui moderni, che tante incertezze e difficoltà esistenziali affrontano. Anche qui, tuttavia, si denota una mancanza di solidità: il legame fra stato e nazione viene visto in fase di dissoluzione. Si introduce l’idea di comunità guardaroba o carnevalesca: considerando la situazione della politica internazionale (in particolare riferita alle aree calde del pianeta, ad esempio i Balcani), il sociologo afferma che le comunità attuali “tendono ad essere effimere (…), incentrate su un unico aspetto o finalità. Il loro arco vitale è breve (…). Il loro potere emana non dalla loro durata prevista ma, paradossalmente, dalla loro precarietà e incertezza del futuro, dalla vigilanza e dall’investimento emotivo che la loro fragile esistenza reclama a gran voce” (p. 235).

Il testo si chiude con un contributo sull’attività dello scrivere di sociologia. L’A. crede che il ruolo del sociologo di fronte all’insieme dei problemi sopra descritti possa avere un valore non trascurabile: deve porre al centro della sua attenzione l’autocoscienza, la comprensione e la responsabilità individuale. Non si tratta tanto di scegliere tra una sociologia impegnata e una neutrale, perché “il solo compito della sociologia è far sì che le scelte siano realmente libere” (p. 256). E questo finale sembra schiudere uno spiraglio di speranza al termine di una ricostruzione dai toni piuttosto gravi, che tuttavia sembra essere applicabile più alle dimensioni urbane delle società occidentali avanzate che all’intera società contemporanea, a meno che non si voglia istituire un’equazione tra le due dimensioni.

Immagine copertina