Per ogni finestra spalancata sul futuro, ognuno di noi ha una botola con vista su quello che poteva essere, lei apre la sua, le mani contratte sui bordi, lo sguardo rivolto verso il basso che risucchia nell’abisso, un pozzo di petrolio che ti lascia sporco e più povero. Le braccia senza occhi, senza dita, senza forza che stritolano il cuore e rompono le valvole mitraliche. Braccia incendiate che stringono aria che non riesce a sollevarti, ma ipnotizza. Anche i suoi capelli rischiano di finire prigionieri tra quei rami insensati e vogliosi.
Guarda Moira e dimmi qual è il dolore più grande. Il fallimento o l’equilibrio instabile su cui si reggono la tua e l’altrui esistenza? O è forse quello che ti annega tra le onde sempre uguali, tra le nubi concentriche dei pensieri? L’acqua è blu anche quando cambia e questo è un inganno accettabile. L’inganno di ogni sera sorridendo tu non lo accetti. Se solo potessimo comprenderlo e non applaudire come automi felici.
Richiudi! Questa notte è quella degli incontri, la discesa in un mondo che non esiste, che puoi vedere perché la mente supplisce alla realtà.
Moira ha il viso liscio e giovane, se la guardi, non pensi più né al circo né agli elefanti, flessuosa, la sua testa non conosce ancora la finzione e l’impalcatura che reggerà gli anni a venire. La torre che la farà sua prigioniera è ancora vuota. Nella piega della bocca è nascosto il desiderio d’immortalità.
Ha dita lunghe e incorrotte con le quali disegna aeree promesse, l’eternità è un bluff, un volo di colombe che muoiono, ma non te ne accorgi hanno tutte lo stesso becco e lo stesso vestito.
Questa notte il tempo è in equilibrio come la ballerina sul filo, è un patto con il trapezio e il tendone e il bazar che non conosce ancora l’invasione degli omini dalle facce gialle.
Le ciglia sono ali posticce che sollecitano voglie e sogni proibiti, la voce? la voce è il segno che niente è irreale se non ciò che non vedremo mai. Dietro il tendone si muove qualcosa, forma ingombrante e indistinta. Il futuro ha fianchi larghi: attende. Moira sgrana gli occhi che le ciglia le arrivano quasi alla fronte e le lasciano rughe di kajal, guarda e vede se stessa attraverso uno specchio deformante.
Con un frammento incide la sua voglia. C’è un modo per vincere e Moira lascia che la proboscide la afferri, la ponga in alto sulla testa del gigante. Diviene regina, in equilibrio come il miracolo dei suoi capelli che sfidano la legge di gravità e che le regaleranno la cefalea per la vita.
Moira esce e incontra la luna, sotto il tendone cominciano già a staccare i biglietti. La gente cerca il posto migliore, comincia a masticare pop corn, qualcuno è venuto soltanto perché spera che accada qualcosa di forte, che la rete ceda, che il trapezista folle di gelosia molli la presa e lei bellissima cada inarticolata come una marionetta dalle sembianze di Barbie. Lei non vedrà i bambini terrorizzati dai clown che ridono per non ucciderti, non assisterà all’oltraggio dei purosangue ridotti a carne da macello, non vedrà neppure il domatore che umilia se stesso e il leone che sbadiglia stordito dai farmaci. Non sentirà la musica che assorda e stordisce e rende un grumo informe, il riso, il dolore e la fatica.
Vede solo la verità della luna.
Ondeggiano insieme il gigante che non sa dimenticare e lei, verso quella mezzaluna carica di promesse. La pista è vuota. Di questa vita resta acre e forte l’odore, quello lo porti sempre con te.
Adele Musso