Poche volte, pochissime, ho detto che un romanzo è talmente bello da rasentare la perfezione.
Ora tenetevi forte, perché sto per dirlo. Questo Jonathan Safran Foer mi fa imbestialire da quanto è bravo. Giuro, mentre divoravo questo capolavoro mi domandavo a quale Santo votarmi per risvegliarmi l'indomani mattina con un cinquantesimo del suo talento.
Mi è bastata la prima pagina: la folle, autistica e surreale descrizione di un ipotetico bollitore del tè che un bambino di nove anni inventerebbe, se solo fosse davvero un inventore. Un bambino di nove anni che scrive ossessivamente a Stephen Hawking supplicandolo di farlo diventare suo discepolo. Un bambino di nove anni che non sa chi è Winston Churchill ma ha conoscenze scientifiche da far invidia a un accademico. Un bambino di nove anni che trova una chiave e una parola e questo gli basta per capire che ci sono parti di vita che ancora non ha conosciuto.
Parti della vita di suo padre, che è morto l'11 settembre 2001 nel crollo di una torre in cui si trovava per caso. Lui non doveva essere lì. La teoria del caos insegna che la maggior parte dei sistemi non è governata da leggi precise, ma rispondono a condizioni assolutamente dettate dal caso. La loro caratteristica peculiare è l'imprevedibilità, ovvero non si può prevedere scientificamente che un fenomeno A avrà una conseguenza B. Questo significa che non era prevedibile che il padre di Oskar fosse invitato a una colazione di lavoro il 10 settembre 2001, oppure il 12, oppure l'11 ma all'ora di pranzo o di cena, oppure ancora in un altro luogo che non fosse una delle due torri colpite dagli aerei, oppure che l'aereo dirottato dai passeggeri non fosse lo United 93 ma quello finito contro la torre in cui si trovava il padre di Oskar. E così via.
Il caos decide quanto possiamo vivere e quando dobbiamo morire. E' un caos che non possiamo prevedere, né ostacolare in alcun modo. Ammesso che Qualcuno o Qualcosa stia alle spalle di questo caos e lo governi, sta alla sensibilità di ciascuno crederci o meno. Ma questo non cambia il fatto che noi non possiamo prevedere né ostacolare quel caos.
Ecco, la storia di questo bambino vittima del caos è meravigliosamente toccante, perché a nove anni parla e scrive come uno scienziato, e solo fra le righe si intuisce fino a che punto il dolore lo abbia portato a un isolamento autistico dove le leggi della fisica hanno sostituito quelle del vivere sociale. Un isolamento genetico, perché in parallelo alla storia di Oskar si racconta quella di suo nonno, che una volta faceva lo scultore, parla attraverso bigliettini e per semplificarsi la vita si è tatuato le parole Yes e No sui palmi delle mani.
Insomma. Questo Jonathan Safran Foer mi fa veramente incazzare da quanto è bravo.