Il libro di Francesco Piccolo, quando è uscito nel 2010, ha avuto un discreto successo di critica e pubblico. L’ho letto, anzi, ho iniziato a leggerlo, ma non mi ha convinto. Fedele ai miei diritti di lettrice, l’ho abbondonato dopo poco. Perché andare a vedere allora uno spettacolo tratto da un libro che non ti ha convinto? Perché probabilmente sarà una buona idea e una esperienza diversa. Difatti.
Valerio Aprea si esibisce in uno stand up pieno di faccette, espressioni, camminate incerte e mimiche che non esitano a farti scoppiare in una risata. Anche quando svela quei piaceri infidi di cui siamo tutti vittime, anzi carnefici, e di cui un po’ ci vergogniamo. Quelli inconfessabili, morbosetti, un po’ bastardi. Tipo quando guardiamo un film che conosciamo alla perfezione con un amico che invece non l’ha mai visto, continuando a interrompere la sua visione anticipandogli scene e battute. O quando un pezzo di pane ci cade a terra, lo raccogliamo, ci soffiamo su, e lo mangiamo, come fosse tornato perfettamente pulito.
Momenti di spassosa, personale, autoriale comicità puntellano lo spettacolo (la splendida “gag” intorno a Non amarmi a Sanremo ’92 e i video costanti di Roma in vespa, stile Caro diario). Momenti di totale, immensa, completa riconoscibilità in situazioni ed effimere sensazioni raccontate. A ricordarci che siamo tutti uguali, abbiamo le stesse paure e proviamo gli stessi brividi, ci incaponiamo per i soliti sciocchi motivi o ridiamo per cose futili. E ci capita di sorridere da soli, al nulla, in piena notte, quando ci sembra che sia tutto calmo e tranquillo, e, per un trascurabile momento, il mondo sembra un posto bello e piacevole dove vivere. Siamo tutti umani, siamo tutti un po’ Piccolo.