Mommy

Creato il 12 dicembre 2014 da In Central Perk @InCentralPerk
Andiamo al Cinema
Xavier Dolan è snob, è hipster, lo si ama e lo si odia, ma non si può non ammettere che di talento ne ha da vendere.
Il regista canadese che con i suoi 25 anni fa rosicare i mammoni di mezzo mondo, visto che ha al suo attivo già 5 lungometraggi presentati tutti tra Venezia e Cannes, lo si invidia, certo, ma davanti a un film come Mommy, ogni pregiudizio, ogni rancore, viene messo a tacere.
Quello che può considerarsi il suo film più maturo abbandona infatti i temi tanto cari quanto biografici come l'omosessualità, tornando però a parlare di una famiglia disfunzionale, di un figlio ma anche di una madre difficili da gestire e difficili da inquadrare.
Letteralmente.
Perchè se già la trama ci mostra un Dolan cresciuto, anche il livello tecnico nella realizzazione del film è curato al massimo, scegliendo un formato più piccolo del 4:3 in cui incastrare i suoi personaggi, lasciandoli e lasciandoci respirare solo per poco tempo.

In un'inquadratura così stretta, l'occhio e lo spettatore si fanno un tutt'uno con Diane e Steve, con la loro vita fatta di ansie e problemi da risolvere, resa ancora più pressante da quel malessere, da quella malattia mentale che rende Steve una mina vagante, pronto a far esplodere la sua rabbia e la sua violenza per un nonnulla, ad incendiare una sala mensa, anche, motivo per cui ora è tornato a vivere dalla madre.
Diane non è una madre amorevole come le altre, vedova presto, ha imparato ad arrangiarsi, a far leva sul suo aspetto e a cavarsela, collezionando guai uno dopo l'altro, senza mai trovare il tempo di una pausa, di un po' di pace e di respiro.
Li seguiamo così in giornate fatte di litigi e di urla, che ci addossiamo noi stessi, rintanati in quello schermo.
Finchè non arriva Kyla, vicina altrettanto problematica, balbuziente da due anni, che diventerà insegnate prima e amica poi di entrambi, un prezioso aiuto che consente una tregua, che consente la felicità.
Ma non tutto dura per sempre, bastano pochi attimi per farci godere del vento e della libertà, dello spazio di un 16:9, per farci riprofondare nei problemi, in una quotidianità in cui il prossimo ostacolo è dietro l'angolo.

Alle prese con personaggi tanto problematici, Dolan mostra tutta la sua bravura nel guidare i suoi attori in uno stato di grazia, tra Anne Dorval e Antoine-Olivier Pilon non si sa chi sia più bravo, lui con quelle smorfie e quei colpi di testa, o lei, con quell'intensità che si scorda dei 54 anni?
Il regista ci piazza poi una colonna sonora ad effetto in cui hit come Wonderwall degli Oasis si fondono con l'italiana Vivo per lei e in cui c'è spazio pure per gli Eiffel 65, facendo di ogni canzone la base perfetta, creandogli attorno un video, un'ambientazione in cui la sua maestria dietro la macchina da presa, l'uso immancabile del rallenti, possono sfogarsi.
Chiusi stretti nello schermo, quei 140 minuti di durata non ci pesano neanche un po', forse solo in quello che sembra un finale, in quel sogno ad occhi aperti in cui tutto sembra così bello, così meritato, così libero che rende difficile e drammatico il ritorno alla realtà, tornare allo stretto e angusto mondo in cui una legge all'apparenza inumana si fa l'unica soluzione possibile per salvare una famiglia.
Abbandonati i problemi adolescenziali di un figlio, gli amori immaginari, i thriller campestri e la rinascita sognante, Dolan approda in un terreno difficile, ma che sa gestire, in cui dosa ciò che si vede e quello da far vedere.
In cui una madre e un figlio, faticano a stare assieme, così come faticano a stare nella stessa inquadratura.

 P.S.: Vista la somiglianza tra Diane e Gemma, che Dolan stesso sia un fan di Sons of Anarchy?
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