Dopo un anno finalmente vedo questo film. E’ stato trasmesso da Sky Cinema Cult martedì sera attorno alle 21.
E’ raro che mia madre assista a queste occasioni, soprattutto quando le tematiche sono di impegno – non le piacciono le cose drammatiche poiché crede non occorra altro masochismo visivo per ricordarci che siamo esseri viventi che incappano nell’errore continuo. Devo dire, non ha tutti i torti, ma è di un’altra generazione.
Quello che rimane di Mommy nella mia memoria è la scena centrale di respiro del ragazzo che estende la visione, la propria libertà, quando recupera una sorta di pace interiore condividendola con la madre e un’amica vicina di casa, su uno skate e due bici, lungo la via di una strada che si estende sotto i loro occhi come spiraglio positivo, momentaneo e illusorio.
La storia narra di un ragazzo che ha problemi comportamentali, che soffre di deficit dell’attenzione. Si trova in una clinica psichiatrica dalla quale viene cacciato dopo l’ennesimo incidente che ha causato, sia nei confronti dell’istituto stesso cui è ospitato, sia di un altro compagno, cui reca danni fisici feroci che implicheranno risvolti in tutta la progressione della sceneggiatura.
La cosa che stupisce del lavoro di Xavier Dolan è la disperazione della madre, costretta a ostentare l’eccesso per offuscare tutto. Il nascondimento del vissuto, di umiliazioni subite, cercate, di una esistenza avvertita come punizione, succube di ogni azione del figlio. L’unica persona che riesce a placare il ragazzo non è lei, ma una donna che sembra non aver mai avuto una vita così divincolata. Una insegnante balbuziente che lo aggredirà con la sua stessa energia, con il potere della aggressione che si attiva quando si supera il limite della confidenza, quella linea sottile legata alla nostra ricerca di protezione di individui destinati alla solitudine e alla paura nel non mostrarci per cio’ che siamo.
L’eccesso, l’esasperazione, l’incoerenza, trasformano la visione in forme altalenanti di attesa lunghissima. Si tratta di un prodotto che dura molti minuti nella sua fruizione, che cattura l’attenzione non rendendo lo spettatore partecipe, quanto piuttosto distanziandolo criticamente e conducendolo all’osservazione del meccanismo psicologico di tutti i protagonisti. Gli innesti proposti, in effetti, sembrano suggerire che nulla è frutto del caso, ma il risultato di scelte e drammi che si continuano a reiterare nonostante l’evidenza sconcertante degli eventi.
Io premio l’uso e la gestazione della rabbia, espressa e repressa, nel legame perverso della madre con il figlio, alla cui base c’è solo un’applicazione continua del proprio tradimento.
Personalmente Mommy non rimarrà nella mia mente per lungo tempo.
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