La fusione fra Mondadori e Rizzoli cambia davvero qualcosa?
È in arrivo il nuovo polo culturale-editoriale, grazie all’acquisizione del Gruppo RCS da parte di Mondadori, ma cambierà davvero qualcosa per i piccoli editori, per i selfpublisher e per i lettori?
In questi giorni sono diverse le notizie poco rassicuranti che sono state diffuse in merito alla fusione Mondadori-Rizzoli, già battezzata Mondazzoli. Le voci allarmate vertono sul fatto che un possibile monopolio editoriale e culturale creerebbe una sorta di predominio sul mercato dei libri, mettendo a rischio la piccola e media editoria, con il conseguente impoverimento del bacino disponibile di lettori utili. È indubbio il fatto che se una tale fusione si farà (ringraziando l’Antitrust), salteranno innumerevoli posti di lavoro, andando ulteriormente ad alimentare il già vasto stagno di disoccupati e precari, ma questo accadrebbe a prescindere dalla tipologia delle aziende protagoniste e a prescindere dal ramo nel quale si muovono i loro interessi. Un’eventuale Mondazzoli più che condizionare il fattore culturale, inteso come bene intellettuale, potrebbe creare stati d’ansia in altri gruppi editoriali, come Gems, Feltrinelli e Giunti, ai quali, un colosso del genere, potrebbe creare qualche serio problema. Tuttavia, per quanto tutto questo possa influenzare la nostra vita quotidiana, in realtà ha la stessa valenza che potrebbe avere la saga famigliare di un qualsiasi Dallas o Dinasty. Siamo realmente certi che per i piccoli e medi editori cambierà qualcosa? E siamo altrettanto certi che la questione si ripercuoterà sui lettori?
Quindi in che modo un grosso polo editoriale potrebbe influenzare un bacino di utenza così vasto?
Si potrebbe obiettare che un unico polo informativo potrebbe avere il monopolio dell’opinione pubblica, creando e censurando le notizie a proprio uso e consumo, lasciando che sia il termometro politico a decidere cosa deve essere reso pubblico e cosa no. Si inneggia alla libertà di stampa e come questa potrebbe essere messa in pericolo da una possibile fusione, come se in Italia la libertà di stampa realmente esistesse. Ma continuiamo a scordarci dell’esistenza del web e della rete. È vero che l’ignoranza regna sovrana nel nostro Paese, ma è anche vero che non sono tutti dei polli e che le persone non vivono perennemente con le fette di mortadella sugli occhi (la circonferenza dei salami è diventata ormai troppo piccola). Inoltre, se vogliamo proprio dirla tutta, le grandi CE, in che modo sono state in grado di rendere innovativo un mercato stagnante e putrescente? Quali cambiamenti hanno apportato nel nostro emisfero culturale? Regalandoci delle “perle” come le amenità propinate da vari nomi altisonanti dello spettacolo e del calcio? È questa la cultura che ci contraddistingue e che dovrebbe far tremare tutto il mercato editoriale? Il punto non è dirottare i lettori verso un prodotto e condizionarne le abitudini, il punto è riuscire ad avere dei lettori. Il punto è concepire dei prodotti editoriali più qualitativi, investire nelle risorse presenti sul territorio, offrire nuovi spunti e sbocchi per le manifestazioni culturali e abbattere tutta l’élite intellettuale e spocchiosa che pensa che la cultura sia riservata a pochi eletti.
Certo, esiste ancora una giungla che fagocita di tutto, un marasma che avrebbe bisogno di essere moderato, un sottobosco di personaggi ambigui e truffaldini che andrebbe allontanato, ma questo nuovo movimento culturale è una realtà tangibile che non si può continuare a ignorare. Penso che quello che manca sia la serietà, quel fondamento morale che contraddistingue la fuffa dalla produzione qualitativa. E non parlo solo di libri pubblicati, ma anche di concorsi, di eventi e di iniziative legate all’editoria. Troppi cialtroni in giro, in tutti i campi, a partire da presunti editor che fanno lavori con i piedi per finire a promoter che letteralmente rubano i soldi agli autori senza offrire nulla in cambio. Tutto questo “maneggiare” di sottofondo ha il sapore amaro dell’accattonaggio, dello sciacallaggio e marchia in modo poco dignitoso un campo che dovrebbe rappresentare l’eccellenza da un punto di vista culturale.