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Mondiali 2014: il mito della roja dominatrice va in frantumi, resta una spagna "umana" e pericolosa

Creato il 14 giugno 2014 da Carloca
                                                 Van Persie tira, Piquè osserva
Nulla sarà più come prima. Certo, l'imprevedibilità innata del calcio e la storia stessa della Coppa del mondo inducono alla prudenza; molte volte (ma non sempre...) inciampi clamorosi delle big nella partita d'esordio hanno assunto le sembianze della classica rondine che non fa primavera: pensiamo alla favoritissima Italia di Sacchi sconfitta dall'Eire nel '94 e poi volata in finale, o all'Argentina messa ko dal Camerun nel '90 e tuttavia in grado di arrampicarsi, con molta fortuna e pochi meriti, fino all'atto conclusivo della kermesse. E allora diciamolo subito: la Spagna è ancora in corsa, anche se fa un effetto strano dirlo dopo aver assistito allo scempio che ne ha fatto l'Olanda poche ora fa; eppure a Casillas e compagnia dovrebbe bastare, a rigor di logica, battere Cile e Australia per andare avanti, e si tratta di "imprese" ampiamente alla portata di una selezione iberica almeno al 70 per cento delle proprie potenzialità.CESURA STORICA - Ma il punto è proprio questo: la gara di ieri sera, comunque vada a finire questo torneo, entrerà nella leggenda dei Mondiali perché ha segnato una cesura storica. C'è ancora, malgrado la batosta, una Spagna ricca di risorse, di talento, di personalità, in grado di fare un po' di strada in Brasile (non una strada lunghissima, a sensazione); ma il mito della Roja euromondiale, l'Invincibile armata che ogni ostacolo ha travolto dal 2008 in poi, non esiste più. Frantumato, cancellato, spazzato via nella piovosa  e umidiccia serata di Salvador. Perché i cocci possono essere rimessi faticosamente insieme, si può tentare una correzione di rotta per tornare avventurosamente in carreggiata, ma un crollo come quello al cospetto dei Tulipani non può scorrere addosso come acqua fresca.SCONFITTA EPOCALE - In un Mondiale ci sono fattori che pesano assai più delle contingenze del campo: c'è la tradizione, innanzitutto, che significa un sacco di cose. Significa, per le grandi squadre, il prestigio da difendere ad ogni costo, significa una dignità da conservare anche nelle circostanze più infelici, anche quando la decadenza comincia a far malinconicamente capolino. Ecco, tutto ciò è stato tradito dalla Spagna di ieri sera. Non si può iniziare la difesa di un titolo iridato in questa maniera: nessun altro campione in carica del passato è mai arrivato a tanto. Poi, certo, altri detentori prima di Xavi e compagni sono usciti nel girone iniziale (Brasile '66, Francia 2002, Italia 2010), e magari le (ex?) Furie Rosse almeno questo scoglio invece lo supereranno, ma la Nazionale che ha dettato legge in ogni angolo del globo da sei anni a questa parte ha dei doveri, degli oneri a cui tenere fede sempre e comunque. Ecco perché un tale avvio da brividi, un 1 a 5 all'ingresso nel massimo consesso calcistico internazionale, è uno di quegli eventi che segnano indelebilmente la storia di una squadra, e che, nella fattispecie, non può che chiudere l'epoca degli iberici extraterrestri aprendo quella, ben più carica di incognite, degli iberici umani, sempre forti ma battibilissimi.EPPURE, NEL PRIMO TEMPO... - E' finito il mito, dunque, ma non la Spagna. Perché se si analizza nel dettaglio il cappotto in salsa (o succo) Oranje emerge una partita per certi versi "assurda"; si può quasi dire che siano state due gare in una, con l'intervallo a tracciare un confine ben definito fra due film diversi, anzi tre: nel primo tempo una placida commedia in slow motion, nella ripresa un action movie dal ritmo incalzante per l'Olanda e un horror per i campionissimi. I primi 45' di gioco avevano, in fondo, mostrato la Spagna di tante altre occasioni: sorniona, palleggiatrice, capace di non sprecare che pochissimi palloni (i nostri azzurri, da questo punto di vista, possono continuare a invidiarli...) e di accendersi con verticalizzazioni improvvise e devastanti, pilotate principalmente da un Iniesta ancora ad altissimi livelli, prima di scomparire anche lui nei gorghi di quella ripresa da incubo. E' pur vero che Sneijder in apertura aveva incredibilmente calciato su Casillas in uscita disperata, ma poi erano stati i rossi (in tenuta bianca) a tenere pallino. Diego Costa, macchinosissimo, era stato favolosamente lanciato per due volte in area, in identica posizione, sul versante sinistro: la prima aveva cincischiato all'inverosimile, la seconda... pure, trovando però un rigore cercatissimo e generoso (ma che si può dare, come anche no...). E dopo la trasformazione di Xabi Alonso, Silva, uno dei più vivaci sul versante offensivo, aveva clamorosamente mancato il raddoppio su splendido assist di Iniesta, mentre nelle retrovie si metteva in luce un Jordi Alba ispirato soprattutto nei recuperi difensivi. Insomma, nulla di trascendentale ma neppure sintomi di un crollo imminente: solo un ritmo ancor più basso del solito, ma ci poteva stare in una partita d'esordio (quindi con un torneo presumibilmente lungo davanti) e con un vantaggio da gestire.
                                             Robben esulta: vendetta consumata
VENDETTA ROBBEN - La poderosa inzuccata di Van Persie che ha fruttato il pari è stata lo spartiacque. Al ritorno in campo, si diceva, un altro match, eppure non mi è parso di vedere un'Olanda fenomenale, una di quelle macchine da calcio in grado di dare inizio a una nuova egemonia. Difesa serrata, manovra assai scarna con Blind junior abilissimo a chiudere e rilanciare, però, va detto, grande rapidità complessiva e uomini d'attacco maestri nel palleggio, capaci di animare vertiginosi dialoghi e di arrivare in zona  - pericolo con irrisoria facilità. Robben ha consumato l'attesa vendetta, dopo i gol falliti nella finalissima sudafricana: la doppietta di ieri non gli ridarà la Coppa persa nel 2010, ma, lo si è scritto in apertura, resterà comunque negli annali, perché ha sancito il tramonto di una compagine che pareva immortale. SUPPONENZA E ALTRO... - Ecco, torniamo alla Spagna: il crollo non è stato solo fisico: sì, la condizione atletica è parsa assai approssimativa, ma Del Bosque e i suoi pretoriani hanno costruito i loro trionfi fondamentalmente su altre basi. Alcuni fattori che hanno prodotto la disfatta si possono comunque individuare: una sensazione generalizzata di supponenza, in primis. Nel primo tempo si è vista la Roja "ammirata", si fa per dire, nella fase centrale di Euro 2012, contro Francia e Portogallo: una squadra che andava col pilota automatico, talmente convinta (non a torto...) della propria superiorità da dare la sensazione di non dannarsi più di tanto, di risparmiare energie e di giocare come il gatto col topo. Solo che nel frattempo qualcosa è cambiato: molte Nazionali hanno trovato il modo di disinnescare il tiqui taca, lo si era detto qui pochi giorni fa. Ancora: è un team troppo monocorde tatticamente. Sì, lo so, parrebbe una bestemmia dirlo di una Spagna che è entrata nella leggenda insistendo su pochi capisaldi strategici: il suddetto tiqui taca, la ragnatela di passaggi precisa al millimetro fino a che non si riesce a stanare l'avversario, e il famoso "falso nueve". Eppure resto convinto che l'eclettismo, la capacità di adottare diverse formule anche a partita in corso, rimanga una risorsa fondamentale, anche se è necessario disporre di un modulo "di base", sul quale eventualmente operare variazioni. A proposito di "nueve", il naturalizzato Diego Costa è parso un pesce fuor d'acqua, poco reattivo e poco pungente pur avendo ricevuto, nel primo tempo, alcuni assist pregevolissimi. Meglio Villa, allora, che negli ultimi anni in rappresentativa è stato ingiustamente sottoutilizzato. ENTRA L'ITALIA - Stanotte, intanto, si alza il sipario sul "mistero Italia". Mistero perché, l'ho scritto giorni fa, la nostra è squadra di impossibile collocazione sulla griglia di partenza: può fare tutto e niente. Ha dalla sua due buonissimi piazzamenti nei due tornei a cui ha finora partecipato, e alcune risorse di classe non indifferenti; ma pesano due colossali incognite: il rendimento non esaltante nelle ultime due stagioni e la generale involuzione del nostro movimento calcistico, di cui la Nazionale rischia di essere lo specchio. L'ultima amichevole non ufficiale con la Fluminense ha mostrato Insigne e Immobile in apparente stato di grazia (apparente, perché il match, giocato in pratica con la formazione riserve, era di scarsissima attendibilità tecnica): entrambi possono tornare utilissimi, il talentino di Benitez perché è uno scricciolo in grado di dare del tu al pallone e di sconvolgere il fronte offensivo con invenzioni improvvise e una innata rapidità, l'ex granata perché è il classico bomber toccato dagli Dei del calcio proprio nel momento più opportuno (in.. zona Mondiale), e oltretutto poco conosciuto dagli avversari, una di quelle risorse dell'ultimo momento di cui tante volte l'Italia ha potuto usufruire. E personalmente non sono sicuro sia incompatibile con Balotelli. Certo, esordire con l'Inghilterra è un po' come cominciare il Mundial dagli ottavi, o dai quarti: l'avvio più impegnativo di sempre, e le premesse non sono buonissime: prima fuori De Sciglio, ora a rischio Buffon. In bocca al lupo ai nostri. 

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