AUTORE Viviana Picchiarelli
EDITORE Bertoni Editore
GENERE Narrativa Mainstream
PAGG 416
PREZZO 14,00
VALUTAZIONE:
Un amore che ricompare dal passato e che chiede solo di essere vissuto, nonostante gli errori commessi e le promesse mancate. Un amore del presente che travolge e sconvolge due anime in burrasca in cerca di un approdo stabile, che dia loro respiro. Un’amicizia che lega indissolubilmente due donne dalle esperienze profondamente diverse, eppure complementari. Una locanda per amanti dei libri affacciata sulle sponde del lago, fulcro di partenze, arrivi, ricongiungimenti e addii dove sono proprio le emozioni di carta quelle da cui tutto ha origine e a cui tutto torna.
“La Locanda delle emozioni di carta” è un libro ricco, innanzitutto, di protagonisti. Per poterne apprezzare l’intreccio, è necessario quindi concentrarsi, in primo luogo, su di essi.
Matteo è un avvocato affermato, ma è anche uno scrittore di recente successo e un padre che fa del suo meglio. Dopo aver posto fine a un matrimonio di convenienza, una vera e propria farsa il cui unico merito è stato quello di avergli regalato la figlia, Ginevra, sceglie di darsi una seconda opportunità andando alla ricerca di quello che avrebbe potuto essere il vero amore della sua vita: una libraia dai capelli rossi, conosciuta ai tempi dell’università, il cui ricordo lo ha tormentato al punto da costringerlo a scriverne in un libro dal sapore autobiografico, appunto “La libraia dai capelli rossi”. Mai come in questo caso, galeotto fu il libro e chi lo scrisse, per i motivi che vedremo tra poco.
Matilde, la libraia in questione, poi divenuta psicoterapeuta, è anche lei reduce da un matrimonio di pura convenienza, fatto di apparenza e routine. Un matrimonio da cui aveva tratto benefici economici e sicurezza professionale, ma niente di più. Un matrimonio dai cui frantumi, dopo un periodo di grande depressione, ha saputo ricostruire la sua vita, grazie alla forza della sua amica e socia Emma: con lei è ripartita da zero, aprendo la Locanda, quella che farà da cornice alle vicende dell’intero romanzo.
Emma, sessantenne dal fortissimo carattere, conobbe Matilde in veste di paziente quando, già vedova, perse anche la figlia Stefania in un incidente di moto, nel quale era coinvolto anche il figlio Riccardo, altro protagonista. Sarà proprio Emma a convincere Matilde a gettarsi nell’impresa di aprire la Locanda.
Riccardo, figlio di Emma, è un trentenne tormentato dal senso di colpa per la morte della sorella, la quale aveva insistito per mettersi alla guida della moto che slittò poi fatalmente sull’asfalto bagnato. Tacendo alla madre il fatto di non essere stato lui alla guida del mezzo, quel giorno, sopporta l’odio di lei come una punizione, allontanandosene il più possibile. Incapace di vivere la propria affettività, si abbandona a rapporti saltuari e puramente fisici, questo almeno finché non incontra Ginevra…
Ginevra, a mio parere il personaggio meglio caratterizzato dell’intera opera, è la figlia di Matteo. Reporter freelance, donna indipendente, dopo un’ infanzia e un’ adolescenza tormentate dall’insofferenza della madre e della prima figlia di lei nei suoi confronti, trova finalmente serenità con il divorzio dei genitori. Serenità lacerata ben presto dalla pubblicazione dell’ennesimo successo letterario del padre, nel quale, senza preoccuparsi troppo di dissimulare l’origine autobiografica dei fatti, egli dichiara l’amore segreto, antico e mai estinto, per una ragazza conosciuta e frequentata durante un mese ai tempi dell’università. Lo spacco è netto, la separazione dal padre traumatica: anche Ginevra, come Riccardo, si affiderà a rapporti saltuari, a letti da cui sgusciare via prima che il suo insignificante e sempre diverso “lui” si svegli.
Altri personaggi, secondari, comparse se vogliamo, animano le pagine del libro; ciascuno con la sua storia, le sue origini e i suoi problemi, ma non è essenziale parlarne qui.
“La Locanda delle emozioni di carta” è un romanzo di tagli e di riconciliazioni. È un romanzo di coppie e di rapporti, di intrecci: da questo punto di vista, è ben strutturato.
I doppi fili che legano uno all’altro i personaggi di quest’opera, faranno sì che essi si trovino, irrimediabilmente, aggrovigliati al loro interno; attirati, a mano a mano che il filo si riavvolge alla matassa, tutti sotto lo stesso tetto: quello appunto della Locanda. La trama segue dunque l’intrecciarsi di queste vicende, in un fuggire, raggiungersi, riconciliarsi e fuggire di nuovo: un lavoro consistente e difficile, eseguito però con risultati piacevoli dall’autrice, che alterna le vicende in modo organico e comprensibile, rendendo nel complesso scorrevoli le oltre quattrocento pagine del libro. Non posso però fare a meno di evidenziare, quale tallone d’Achille, una certa prevedibilità della trama: una volta conosciuti tutti i rapporti intercorrenti tra i protagonisti, è stato facile indovinare il finale.Lo stile è pulito, a parte qualche refuso e ogni tanto l’abuso di punteggiatura (!!!), il testo è leggero, piacevole. L’autrice, Viviana Picchiarelli, ha un’ottima capacità descrittiva, che non lesina, e che anzi elargisce a piene mani nello sforzo, spesso riuscito, di far vivere al lettore situazioni, luoghi, perfino sapori. La miglior prova di questa sua capacità la da proprio nel descrivere la Locanda dei Libri, nell’accompagnare il lettore i ogni suo anfratto, nel descrivere minuziosamente i piccoli tesori (libri in testa) che custodisce. A volte però, bisogna dirlo, ove in alcuni passaggi la narrazione reclamerebbe maggior speditezza, tanta abbondanza di particolari risulta pesante.A stridere con uno stile altrimenti vivace e realistico, sono invece i dialoghi che animano la narrazione: molti sono superflui, nella misura in cui ripetono in modo sterile cose già note al lettore; altri, forse nel tentativo di sembrare il più possibile realistici, danno invece l’impressione opposta; pochi, a dire il vero, quelli che mi hanno convinto.Complessivamente però è un buon testo, una lettura leggera, che non ha troppe pretese, ma piuttosto si propone di accompagnare il lettore, senza chiedere nulla in cambio se non di lasciarsi trasportare. VAI ALL’ARTICOLO ORIGINALE