MONGOLIA: Desovietizzazione? Sì, ma alla mongola

Creato il 19 settembre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Pietro Aquistapace

Ulaan Baatar in mongolo significa città rossa, e rossa UB lo era davvero. Capitale di uno stato formalmente indipendente ma di fatto legato a filo doppio a Mosca, anche per via del tradizionale “non amore” verso la Cina (ci si chieda perché i mongoli non vanno in bicicletta…). Chi non ricorda le carte geografiche con il confine russo-mongolo tratteggiato? Tutto questo per dire che la Mongolia comunista lo era davvero. Ed ora? Cosa ne è del passato comunista?

In Mongolia non ci sono stati abbattimenti di statue, ma nemmeno si è rimasti ad un anacronistico “passato che perdura”, niente di tutto ciò. In Mongolia si è sostituito il culto della personalità con un nuovo (e vecchio) culto della personalità. Infatti con la fine dell’Unione Sovietica i mongoli si sono riappropriati della figura di Gengis Khan (o meglio Chinggis Khaan) in precedenza accantonata su direttive di Mosca.

L’Urss temeva che la figura dello storico condottiero potesse fungere da catalizzatore per una deriva nazionalista, preferendogli invece un più rassicurante Sukhbaatar (eroe rosso), paladino dell’indipendenza mongola dalla Cina. Oggi Chinggis Khaan è ovunque: sulla birra, sulla vodka, sulle patatine, sulle sigarette e l’aereoporto porta il suo nome. Inoltre recentemente è stato inaugurato a circa 50km da UB il Chinggis Khaan Complex con quella che è la statua equestre più alta del mondo (40 metri).

Il culto dell’eroe mongolo per antonomasia ha avuto la sua consacrazione nel 2006 quando, in occasione dell’800esimo anniversario della fondazione del suo impero, l’imponente costruzione in marmo a lui dedicata ha preso il posto del mausoleo di Sukhbaatar sul lato nord di Sukhbaatar square, la principale piazza di Ulaan Baatar. E gli altri eroi del comunismo che fine hanno fatto?


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