“Monologo della carota” (Opera drammaturgica di Lidia Zitara in un solo atto)

Da Lidiazitara @LidiaZitara

Si dice di noi carote che siamo schizzinose.
Posso smentire questa assurda diceria che circola tra i giardinieri? La verità è semmai che loro non ci amano.
“Oddio, devo seminare le carote!”, oppure “Maledette carote”, e a volte “ Le carote del razzo!”.
Questa frase –poi- non l’ho mai capita, perché noi carote coi razzi non abbiamo nulla a che fare.

Credetemi, essere una carota non è lo splendore che ci si immaginerebbe.
Sì, è vero, ci piace avere i semini più fini del mondo, più fini di quelli della digitale purpurea o del mimolo tricolore.
Io trovo che sia un tocco trés chic.
Siamo costose, non amiamo stare troppo vicine tra noi, altrimenti dobbiamo essere diradate.
Naturalmente detestiamo il trapianto: è per questo che occupiamo un sacco di spazio. Il terreno ci piace morbido e ben areato, e se non abbiamo abbastanza potassio ci vendichiamo diventando amare come lo Xanax.

Per carità, io appartengo ad una cultivar selezionatissima, sono dolce come il miele e non prendo nessun malanno, ma conosco delle colleghe che se non hanno una tettoia che le protegga dalla pioggia invernale, semplicemente si lasciano morire.

C’è un che di romantico, non trovate?

Una cruda realtà è che siamo meno alla moda di un tempo.
Oggi va l’orto sul balcone, e noi certo non degniamo i vasi come nostre dimore, se si eccettua quella francesina tonda che più che una carota sembra un ravanello del colore sbagliato.

È questa la verità, amici, non è da tutti comprendere una carota. Occorre spirito, humour, quel certo je ne sais quoi.

A volte ho la triste sensazione di non essere coltivata per la mia bellezza ma per… oh, be’ (che pensiero ardito), ma spesso ho la sensazione di essere coltivata per essere venduta!


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