In questa citazione del mitico Pat Morita si può racchiudere tutto il senso di questo film. Esordio del regista Gareth Edwards, che ha raccolto parecchi consensi, spinto dal successo di pellicole come Cloverfield e District 9. Sicuramente il risultato ottenuto dal regista è notevole, specialmente in considerazione del fatto che l’abbia ottenuto con un budget molto vicino ai 500.000 dollari.
Il film fa dell’atmosfera disincantata e malinconica la propria colonna portante e, se per gli amanti delle riflessioni politico-sociologiche potrebbe risultare una vera manna dal cielo, per chi è in cerca di azione, distruzione e spettacolarità questo film potrebbe facilmente avere l’impatto di un mattone che ti centra in pieno i testicoli dopo essere stato lanciato dal ventesimo piano di un palazzo.
Confesso di appartenere alla seconda categoria. E, anche se da un film sui mostri mi aspetto di vedere mostri spesso e volentieri, il film di Gareth Edwards raggiunge comunque la sufficienza per la storia e per lo stile in cui viene raccontata.
La storia parla di giganteschi alieni che invadono il messico settentrionale, rendendo inabitabile tutta la zona, fino al confine con gli Stati Uniti. Un giornalista viene incaricato di recuperare la figlia del suo capo e di riportarla in America ma, a causa di un imprevisto, si troveranno costretti ad attraversare a piedi la zona di quarantena.
E’ più che apprezzabile l’intenzione di voler dire qualcosa di nuovo sul tema dell’invasione aliena, e alcuni spunti interessanti si notano senza stare troppo a fare i critici cinematografici. Forse, però, la qualità del film ne avrebbe giovato se si fossero spiegati in maniera meno frettolosta (per non dire del tutto assente) alcuni passaggi. Tipo il perchè un giornalista accetti di rischiare il culo per recuperare la figlia del capo che, si presume, sia un semplice direttore di giornale e non abbia abbastanza potere per far leva sulla voglia di un uomo di rischiare la vita. O il perchè la figlia del capo sia scappata in Messico abbandonando il fidanzato che dovrà sposare a breve.
Anche la caratterizzazione dei mostri, purtroppo, è riuscita solo fino ad un certo punto. Sarebbe impossibile descriverli senza rovinare il gusto di scoprirli durante il film (cosa che per alcuni potrebbe essere l’unico motivo per arrivare fino alla fine della pellicola). Personalmente ho apprezzato il coraggio di proporre mostri giganteschi, che potessero reggere il confronto con quello di J.J. Abrams in Cloverfield, ma se fossero stati imbottiti con qualche steroide in più non mi sarei certo offeso. Ma confesso che ho goduto parecchio nella citazione a Jurassic Park (la scena del T-Rex che attacca la jeep, per intenderci) che il regista ci regala verso la fine del film.
La nota dolente del film, sempre tenendo conto che è un fan dei robottoni giapponesi a parlare, è il rimo fin troppo dilatato della narrazione, in cui, purtroppo, i mostri vengono sempre e solo visti di sfuggita o parzialmente. E quell’unica volta in cui viene data l’opportunità di goderseli per intero, viene piazzata in un contesto che non certo all’altezza delle aspettative. Praticamente tutto l’opposto di Cloverfield, in cui il mostro si vede poco, ma è sempre in un contesto abbastanza movimentato (senza contare che quello era un mockumentary, mentre Monsters è un film con riprese “tradizionali” e che Abrams è sicuramente un furbacchione).
Diciamo che questo Monsters è un film valido se lo si guarda come un modo delicato, malinconico e riflessivo di concepire un determinato filone fantascientifico. Tutti quelli che amano vedere mostri orrendi che spaccano tutto e sventrano cristiani ogni due minuti finiranno per rimanere delusi. A me non è certo dispiaciuto, e non mi sento di bocciarlo, ma ora corro a rifarmi gli occhi con Predator.