Andrea Camilleri Un covo di vipere (Sellerio, 2013, € 14,00). Montalbano è un antico amore che ha perso l’urgenza della passione ma conserva la forza del legame sincero. Ritrovarlo è sempre una festa. Un covo di vipere è stato scritto nel 2008, ma è uscito solo adesso. I difetti della serie di Montalbano sono ormai noti: Catarella è al di là del concetto stesso di macchietta, si è fatto surreale e poco credibile; il rapporto punzecchioso col dottor Pasquano, il medico legale, ha perso il gioco originario della stima mascherata diventando greve e sciocco; il pm Tommaseo è irritante nella sua ossessione inibita per le “fimmine”. Ma Montalbano riesce a sfoderare ogni volta qualcosa che sorprende e conferma le ragioni dell’amore. In questo caso ci sono una trama perfetta e il tema.
Un uomo sordido, aguzzino senza scrupoli e ossessivo “consumatore” di ragazze bellissime, è trovato morto “due volte”. Subito sono dati gli indizi giusti perché il lettore si senta dentro l’indagine e possa, a un certo punto, intuirne la soluzione. Da metà in poi si legge per vedere se sarà confermata, e questo non rende meno famelica la corsa sulle pagine. Anche perché qui qualcosa si fa nuovo: Camilleri non racconta solo un delitto, non mette solo in scena la ben nota commedia di giro, Fazio, Augello, Livia, il ristoratore Enzo, i tic e le manie. Non lancia strali alla politica corrotta. Stavolta ha un tema. Un tema forte che non posso svelare (evitate di leggere la nota finale prima di essere arrivati in fondo), un tema difficile in cui si inoltra con intelligenza.
C’è un Montalbano-psico-commissario si trova costretto a sondare le logiche più perverse dei legami di sangue. E finisce faccia a faccia con una declinazione dell’amore davvero imprevista sulla quale non è dato esprimere giudizi, ma è utile interrogarsi. Insomma, vale la pena di leggerlo. Per la leggerezza che regala, come sempre, e per la “pesantezza” su cui si affaccia in modo un po’ inedito.