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“Montedidio” di Erri De Luca: vi è sempre un preciso momento in cui l’infanzia finisce

Creato il 07 aprile 2015 da Alessiamocci

“Allora don Rafanié, le volte che mi viene il pensiero di una mancanza la devo chiamare presenza? Giusto, così a ogni mancanza dai il benvenuto, le fai un’accoglienza. Così quando sarete volato io non devo sentire la mancanza vostra? No, dice, quando ti viene di pensare a me io sono presente. Scrivo sul rotolo le parole di Rafaniello che hanno rivoltato la mancanza sottosopra e sta meglio così. Lui fa coi pensieri come con le scarpe, le mette capovolte sul bancariello e le aggiusta”.

“Montedidio” di Erri De Luca (Feltrinelli, 2002 nella collana I Narratori) è un capolavoro che non ha età. Sempre attuale, ha il dono di inebriare il lettore con la poesia delle sue parole; con la brevità dei capitoli, la cui estrema scorrevolezza induce a divorare l’opera. Nonostante vi siano parecchie frasi in napoletano, tutto scorre. Si prosegue fino al traguardo, quindi, per veder volare quel “bumeràn” col quale il protagonista si è a lungo esercitato, che si libra nell’aria una volta sola, a voler indicare il passaggio all’età adulta e la fine di un’epoca.

Il protagonista di questo breve ma intenso romanzo non ha nome. Sappiamo solo che ha 13 anni, ha terminato da poco la scuola ed è stato “messo a bottega” da Mast’Errico, per imparare il mestiere del falegname. Soprattutto, per avere un lavoro in questo periodo così duro, di fine anni Cinquanta.

Il ragazzo vive a Montedidio, un quartiere di Napoli, dove regna il chiasso della gente, in contrapposizione al silenzio, che invece è peculiarità della parola scritta. Egli è l’unico della sua famiglia a parlare correttamente l’italiano, poiché è riuscito a leggere molti libri. Pertanto, cerca di mettere nero su bianco le esperienze che vive su un rotolo di carta che ha ricevuto in dono da un tipografo, diciamo così, non proprio del tutto disinteressato.

La trama si sviluppa nell’arco di sei mesi. Da giugno- da quando il ragazzo inizia a lavorare presso la falegnameria- le vicende si concludono a dicembre, l’ultimo giorno dell’anno. In così pochi mesi, avverrà la maturazione di questo bambino, costretto a scontrarsi con le avversità della vita. Quelle che fanno crescere. La madre si ammala gravemente e il padre deve assisterla in ospedale; l’”ammore” scoperto con Maria, la matura coetanea che abita nel suo palazzo, importunata di continuo da un padrone di casa ubriacone e pedofilo. Il fatto che egli debba, d’un tratto, imparare a cavarsela da solo.

Nella bottega di Mast’Errico è ospite un calzolaio ebreo, don Rafaniello, con i capelli rossi e gli occhi verdi, che, nella conformazione, assomiglia ad un ravanello. Quest’ultimo, al quale un angelo ha predetto che avrebbe raggiunto la Terra promessa con le ali che lui pensa gli stiano crescendo dentro la gobba, insegna al ragazzo molte cose sulla vita. Don Rafaniello aggiusta le scarpe ai “puverielli”, e, grazie alla sua bontà d’animo, buona parte della popolazione napoletana non va più scalza.

Il ragazzo porta sempre con sé un “bumeràn” di legno, regalo del padre. Ogni giorno si esercita a lanciarlo, e sarà proprio attraverso questo oggetto inanimato, che tanta parte ha nel romanzo, che egli diverrà consapevole dei cambiamenti che stanno avvenendo nel suo corpo. Della sua personale crescita.

Tutto è pronto, quindi, per il grande lancio. Il ragazzo tirerà il bumeràn una volta sola, perché chissà dove andrà a finire, e don Rafaniello prenderà il volo, con le sue ali, e lascerà Napoli. Tornerà a casa. Il tutto, avverrà la notte di Capodanno, l’appuntamento è sulla terrazza dello stabile del ragazzo e di Maria, che ormai sono diventati una coppia di fatto; e che proprio su quel terrazzo si sono incontrati per tante sere, prima di unire le loro sventurate solitudini. Perché a Napoli, vali solo se sei una coppia. Da soli non si fa niente.

Naturalmente il finale lo lasciamo a voi, affinché non vi roviniate la lettura.

La prosa di De Luca è struggente, e così altamente evocativa da far dimenticare tutta la miseria e la povertà della Napoli di quei giorni. Tutto lo squallore della vita di questi poveri cristi; e soprattutto dei due bambini, che, eventi più grandi di loro, hanno reso già grandi.

“Montedidio” è una poesia corale, una narrazione che accomuna e porta a condividere eventi che la maggior parte di noi non riconosce come possibili. Colpisce la naturalezza con cui l’autore trova ogni volta i giusti termini, per descrivere le scene.

La fine dell’infanzia, potrebbe essere un altro modo per compendiare quest’opera.

Una fine e un nuovo inizio, semplicemente di una vita “diversa”.

Caldamente consigliato, avete la mia parola.

 

Written by Cristina Biolcati

 


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