da Ragionpolitica.it
Monti si è recato a Bruxelles, dove si svolge l’Ecofin per provare ad esporre la strategia di crescita dell’Italia, nel difficile intento di presentare un Paese ormai maturo, pronto per una virata di cambiamento. Certo, avrà un bel da fare nell’impedire che tale virata diventi un inchino fatale, perché quando si varano decreti «lacrime e sangue» il livello di pressione interna si alza a tal punto che diventa poi impossibile mantenere l’impianto originale. E allora via agli annacquamenti. Ciò che conta è scongiurare la lotta cittadina, la guerra civile. Ma alla fine, delle decisioni prese non è più soddisfatto nessuno.
Sembra quasi un déjà-vu, ma prima era colpa di Berlusconi, oggi invece dell’Europa, dei mercati o, forse, per chi si sente più politicamente corretto, della crisi. Ciò nondimeno Monti, nella sua irreprensibile sobrietà verde bosco, è homo intoccabile. Egli può vantare ormai aperture con paesi tradizionalmente diffidenti, come Olanda e Danimarca. E annuncia trionfante, ma sempre sobrio, di intrattenere un serio dialogo con i tedeschi. Non si vuole sbilanciare, nel rispondere alle domande incalzanti dei giornalisti, sulle indiscrezioni di Spiegel in merito ad uno spalleggiamento da parte del Presidente della Bce Draghi riguardo all proposta, proveniente dallo stesso Monti, per l’innalzamento a 1000 miliardi di euro della dotazione al nuovo Meccanismo di Stabilità (ESM), che sostituirà l’esangue fondo salvastati da luglio dell’anno prossimo. Non si sente di smentire né di confermare, eppure, aggiunge, «se gli importi (dei fondi salvastati, ndr.) sono di dimensione tale che i mercati li considerano credibili è molto probabile che non debbano mai essere sborsati». Insomma, «in fondo in fondo» l’idea la cova veramente, ma non ha il coraggio di dirlo in faccia alla Merkel che, ora come ora, ha il coltello dalla parte del manico.
Emblematica, viceversa, la Cancelliera in conferenza stampa a Berlino. La Germania, dice, ha sempre fatto quello che doveva fare per difendere l’euro. Non metterà un euro di più per rimpinguare il forziere di quel tanto ambìto fondo salvastati a cui molti vorrebbero accedere. Anzi, se le pressioni dovessero aumentare, la Germania potrebbe quasi quasi cambiare idea. Così, per scaramuccia. Parole algide, che diventano adamantine quando si vaglia l’impegno finanziario che la Germania potrebbe assumere nei vari salvataggi. Eppure, hanno già ottenuto quello che volevano. Un patto fiscale duro, anzi durissimo, per imbrigliare gli Stati figliol prodighi, rei di aver sperperato i loro risparmi senza controllo. Con delle regole che, lo ricordiamo, obbligheranno i paesi dell’eurozona a incorporare nelle loro Costituzioni nuove e prammatiche disposizioni sul bilancio pubblico, per il contenimento del deficit annuale alla soglia dello 0,5% del Pil nominale, salvo circostanze eccezionali o recessioni. Regole che, ancora, inaspriranno la procedura di infrazione per deficit eccessivo già disciplinata da Maastricht, nella speranza di renderla effettiva.
Ma come? Non era stata la stessa Germania, assieme alla sorella Francia, a superare sistematicamente la fatidica soglia del 3% di rapporto deficit/Pil, nei tre anni antecedenti al 2004? All’epoca, quando il Consiglio dei ministri delle finanze Ue decise di «graziare» le due indisciplinate, senza comminare alcuna sanzione, fu elogiato di pragmatismo. Oggi, da quegli stessi pulpiti si biasima il lassismo fiscale, invocando al contempo rigore e rigidità.
Ma la Germania si è ritrovata sola nella sua rocca degli allori. I francesi non ridono più, perché anche loro hanno subito il duro colpo inferto dal declassamento. E se seguono ancora Berlino nel suo oltranzismo fiscale, è perché hanno l’interesse a mantenersi un ruolo di primazia in un consesso che sempre di più assiste inerme allo snaturarsi del metodo comunitario, a detrimento di quei principi di cogestione (e non «congestione», come si sono poi rivelati) che erano alla base dell’Unione. Del resto, in un’entità parapolitica che ha una moneta unica ma non una testa unica, è inevitabile che prima o poi, soprattutto in situazioni eccezionali di crisi, prevalgano gli intendimenti del più forte. Questo Monti lo dovrebbe tenere bene a mente, poiché da che mondo e mondo, la diplomazia, viene surclassata dai tradizionali rapporti di forza, ai quali non è possibile rispondere se non tirando fuori affilate unghie retrattili.