Una recensione su questo film, opera ultima di Michel Gondry (“The eternal sunshine of the stopless mind” con Jim Carrey e Kate Winslet), potrebbe intitolarsi “Robert Wiene ‘riarrangiato’ da Duke Ellington”.
Secondo un concetto molto europeo, le architetture prendono letteralmente vita in maniera quasi zoo-morfica, interagendo con i personaggi, anch’essi capaci di piegarsi e piegare tutto contro ogni legge fisica in base ai propri stati d’animo, al “mood” per l’appunto.
Al centro della scena c’è il giovane e benestante Colin (Romain Duris), un novello “petit prince” che si muove come Fred Astaire nella sua “casa vivente”. Da lì osserva affascinato il mondo spalleggiato dal suo fac totum Nicolas (l’ottimo Omar Sy di “Quasi amici”). Quando Colin deciderà, come Nicolas e il vecchio amico Chick (Gad Elmaleh), di innamorarsi, comincerà così il proprio viaggio per abbracciare finalmente il mondo, nel bene e nel male, e sperimentare la vita. La storia si fa così omaggio alle favole, come “Pinocchio” e, naturalmente, “Il piccolo principe”. Da favola è tutta la realtà disegnata intorno ai protagonisti, dove la musica domina ogni cosa. In particolare la musica del grande maestro jazz Duke Ellington. Chloé, infatti, il giovane e delicato amore di Colin (la straordinaria Audrey Tautou de “Il favoloso mondo di Amelie”), è anche il titolo di un classico di Ellington che fa da “brano galeotto” fra i due.
Non si può certo trascurare la presenza nella vita di Colin, di un piccolo e operoso laboratorio di scrittura, all’interno del quale, come i topolini infaticabili di “Cenerentola”, tanti dattilografi battono forsennatamente a macchina tutto ciò che è di là da accadere. Certo, un promemoria perfetto per ricordarci che il film è tratto da un romanzo, ma non solo. Sta in questo escamotage registico, dal mio punto di vista, la vera natura della pellicola. Non solo la storia di un difficile amore adulto, che cresce con i suoi protagonisti, innestato nel tessuto di una fiaba onirica, ma anche un film che parla del cinema stesso.
Il contenuto è forte, ben mascherato, nella sua essenza dolorosa, dietro le spoglie della perpetua allucinazione. Insomma, proprio come le favole antiche, “Mood Indigo” è uno schiaffo di velluto, che ammalia, diverte, commuove lasciando però dentro interrogativi ed angosce – in questo caso, su come a volte l’amore stesso non basti a salvarci dalla pressione degli eventi e dalle contingenze-.
Si viene fuori da questo “french trip” con un dubbio. E se “la modalità indaco” non fosse l’amore celebrato tra “il piccolo principe” e la sua principessa, ma la speranza del topolino?
Se, anche quando l’amore viene a mancare nella nostra vita, con un po’ di speranza gelosamente custodita dentro, riuscissimo a portare un po’ d’indaco sempre nei nostri occhi?
Written by Fabio Orefice