Prodotto che recupera le atmosfere de L’arte del sogno (Le science des reves, 2006), Mood Indigo – La schiuma dei giorni (L’écume des yours, 2013) riesce a metà, pasticciando nella prima parte (eccedendo in visionarietà estrema), per poi risollevarsi nella seconda, grazie a una scelta filmica azzeccata e aderente al racconto.
Colin è un giovane ricco (proprietario di un’ingente fortuna, che gli permette di vivere senza dover lavorare) alla ricerca del vero amore. Accudito da un piccolo topo e da un cuoco (dalla cucina decorativa), a una festa Colin incontra Chloé, una donna affascinante e avvenente di cui si innamora all’istante. I due si sposano ma, durante il viaggio di nozze, Chloé si ammala di una bizzarra malattia. Colin darà fondo alla sua ricchezza per alleviare il dolore dell’amata.
Tratto dal romanzo La schiuma dei giorni di Boris Vian, il film diretto da Gondry è l’esempio di come questo autore francese non riesca a ritrovare quella verve, che lo aveva fatto brillare anni fa. Probabilmente la causa deriva dalla mancanza (alla sceneggiatura) di Kaufman, che ha sempre impresso agli script, destinati al cinema, un marchio di fabbrica riconoscibile, straniante e profondo. Difatti di Kaufman si ricordano prodotti come Essere John Malkovic (Being John Malkovic, 1999), Il ladro di orchidee (Adaptation, 2002), Confessioni di una mente pericolosa (Confessions of Dangerous Mind, 2003), Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine in a Spotless Mind, 2004) e Synecdoche, New York (2006), l’ultimo da lui stesso diretto. Diversamente Mood Indigo – La schiuma dei giorni vede Gondry muoversi autonomamente dietro la macchina da presa e lasciarsi andare a uno sguardo eccessivamente surreale, contraddistinto da una serie infinita di effetti speciali artigianali (alcuni in stop-motion) e da una fotografia colorata e caramellata. Tutto ciò è quel che Vian racconta all’interno del suo romanzo d’amore straziante, ma il manierismo di Gondry trasforma la prima parte della pellicola in un accumulo di visionarietà e approccio onirico, che salta all’occhio, ma non permette allo spettatore di immedesimarvisi compiutamente. Difatti pare che Gondry si perda all’interno della giovialità del racconto, che si diverta a spingersi oltre il limite, dimenticandosi di intrattenere lo spettatore; inoltre il regista dona al protagonista Colin (un sufficiente Romain Duris) una delineazione caratteriale detestabile e per nulla empatica.
Nonostante ciò Gondry si riprende in una seconda parte più dolorosa e sofferente, nella quale la fotografia (e il contesto) perde progressivamente colore, lasciando spazio a un bianco e nero espressivamente aderente alla vicenda e che riesce a fondersi adeguatamente a una decadenza strutturale delle scenografie, delle vite dei protagonisti e del loro microcosmo. Tra una ballata di Duke Ellington e un montaggio confusionario (che non ha l’interesse di seguire una convenzionalità filmica, ma preferisce una anticonvenzionalità narrativa), Mood Indigo – La schiuma dei giorni non riesce a convincere. Infatti si ha l’impressione (e la convinzione) che Gondry non riesca a ritrovare quel talento autentico e personale, che lo aveva consacrato negli ultimi anni come uno degli esponenti della nuova wave hollywoodiana. Inoltre pare che si limiti al visibile non riuscendo a infondere alle sue pellicole un risvolto metaforico e poetico. Mood Indigo – La schiuma dei giorni ne è un esempio lampante; la pellicola vive dell’autocompiacenza del regista, che si loda, ma non riesce ad andare aldilà di qualche sequenza azzeccata e della (convincente) rappresentazione della malattia (lenta e degradante). Tuttavia non basta e il film ne risente.
Uscita al cinema: 12 settembre 2013
Voto: **1/2