Chi ha visto il trailer avrà senz’altro notato gli accenni a “2001: Odissea nello spazio”, a “Solaris”, e – chissà – avrà pure storto il naso presentendo l’ennesimo film che fa della citazione un appiglio a cui aggrapparsi. Eppure “Moon” non è quel tipo di pellicola. GERTY, il computer di bordo che in “Moon” accompagna come un buon psicologo il protagonista (nella versione originale è Kevin Spacey a dargli voce), malgrado l’indubbia parentela col più famoso HAL 9000, si giustappone al predecessore evitando, per funzionalità narrativa, il banale omaggio. Kubrick e Tarkovsky sono qui fantasmi di riferimento mai ingombranti, baluardi di un cinema caro a Duncan Jones e a partire dal quale egli dipana il suo misuratissimo dramma privo di effetti visivi tesi solo alla mera spettacolarizzazione (ché la fantascienza non è solo navicelle spaziali e raggi laser…) Il film cresce così inquadratura dopo inquadratura, battuta dopo battuta, spingendo alla riflessione, all’emozione più intima con una trama che tocca questioni scivolosissime come la solitudine, l’identità, il libero arbitrio, la memoria. Si torna, dunque, a fare grande cinema tenendo ben salde le redini di una narrazione che avvince e che regala colpi di scena (la scoperta del clone…), valorizzando una scenografia che non esaurisce la propria funzione con l’ovvia contestualizzazione futuribile. Gli ambienti ammantati di bianco della base spaziale, quasi ospedalieri, si oppongono allo spazio nero là fuori ma non per questo rassicurano di più. Anzi.
Un film eccezionale, quindi. Profondo, commovente, denso. Con un’unica fragilità: il finale. Troppo sbrigativo, troppo simile all’incipit di una storia ancora da girare e di cui “Moon” costituisce lo straordinario prologo.
P. S.
“Moon” è uscito in Italia il 4 dicembre e, nonostante i premi vinti all’estero e i numerosi consensi di critica, è stato distribuito con un numero davvero risibile di copie. A Siracusa, la città da dove attualmente scrivo, non è passato nemmeno. Probabilmente è accaduto lo stesso anche in altre provincie. E poi ci si lamenta perché c’è qualcuno che i film se li cerca altrove…