Moonrise Kingdom: Wes Anderson e il cinema artigianale

Creato il 14 ottobre 2012 da Pianosequenza

 

Moonrise Kingdom
(Moonrise Kingdom)
Wes Anderson, 2012 (USA), 94’
uscita italiana: 6 dicembre 2012
voto su C.C.

1965. La piccola comunità di New Penzance è in fibrillazione dopo la scomparsa di due ragazzi del posto, lo scout khaki Sam (Jared Gilman) e la problematica Suzy (Kara Hayward), entrambi in fuga da situazioni infelici. Il capo scout Ward (Edward Norton) e il poliziotto locale Sharp (Bruce Willis) coordinano le ricerche, con lo spettro dell’algida signora Servizi Sociali (Tilda Swinson) ad aleggiare su di loro.
Scopriranno le tracce di una storia d’amore.
Pensando al futuro della celluloide, probabilmente Wes Anderson è sempre stato convinto che una terza dimensione non fosse da ricercare in futuristiche tecnologie ed occhialini fastidiosi, bensì in un territorio mai abbastanza esplorato: la fantasia e l’animo di chi guarda. Il Cinema dell’artista americano è infatti così diverso da quello di tutti i suoi colleghi perché ha smesso di rinnegare quella dimensione “artigianale” azzerata nella maggior parte dei casi dalla computeristica. Nei suoi film il lavoro di scenografi, carpentieri e designer diventa fulcro attorno al quale l’intero senso della vicenda si sviluppa: basti pensare alla straordinaria nave de Le Avventure acquatiche di Steve Zissou o al Darjeeling Limited dell’omonima pellicola per comprendere l’importanza di ogni piccola stravaganza presente in questi palcoscenici dotati di una magica vita propria. In Moonrise Kingdom Anderson compie un ulteriore passo avanti, ideando un intero arcipelago di isole dalla infantile toponomastica; fatte salve le due articolatissime costruzioni che caratterizzano la storia (il campo scout e la casa dei Bishop) la maggior parte della narrazione si svolge en plein air, tra ruscelli, dirupi e scorci meravigliosamente incontaminati. Questo contesto è indispensabile per comprendere la simbolica avventura dei due piccoli protagonisti, giovani adolescenti che trovano l’uno nelle debolezze dell’altro la forza per affrontare una vita che sembra ad entrambi così difficile – Sam, orfano, invidia la famiglia disfunzionale che Suzy non è in grado di apprezzare. Li accompagna la voce di Leonard Bernstein, che giunge da un giradischi portatile, nostalgico sguardo del regista rivolto a quella generazione di young people per la quale la comunicazione, tutt’altro che istantanea, conservava ancora il fascino misterioso di una corrispondenza cartacea da attendere con speranza.
Sono ormai lontani i tempi in cui Anderson era costretto a convincere le sue star che i personaggi da lui ideati – insieme al sodale Roman Coppola, membro della prolifica nidiata di Francis Ford – erano all’altezza della loro reputazione: ognuno dei pesi massimi chiamati in causa è disposto infatti a mettersi in gioco, senza remore. Così Willis rinuncia al consueto abito da maschio alfa per divenire un average-man un po’ sempliciotto ma pieno di buon senso, Norton interpreta un nerd ante-litteram, Bill Murray e Frances McDormand danno vita ad un esilarante coppia di avvocati che vive ogni momento come fosse di fronte al grand jury. Si tratta di un cast stellare ma che non sarebbe nulla senza i due protagonisti, all’esordio, che rubano l’occhio durante tutto il film per la dolce naturalezza con la quale interpretano i loro personaggi.
Col solito piglio da narratore di favole, Anderson porta avanti la storia bilanciando mirabilmente commedia e romanticismo, e sfrutta ogni espediente che l’indovinata ambientazione (temporale, logistica) gli consente di mettere in atto. Non c’è dubbio che si tratti di uno tra i più brillanti ed identificabili cineasti della nostra generazione.

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