Giorgio Morandi: Lines of Poetry è un miracolo di equilibrio e coerenza. La stessa coerenza che è sempre stata al centro della ricerca pittorica del pittore bolognese. Organizzata in collaborazione con la Galleria d’Arte Maggiore di Bologna, quella della Estorick è una mostra intima e fluida, che racconta in ottanta opere cronologicamente disposte (acqueforti, acquerelli e disegni) la storia di un Morandi diverso: l’incisore. E fino ad aprile le sue delicate acqueforti punteggeranno d’Emilia le pareti bianche delle due sale della galleria londinese.
Solitario eremita o cosmopolita (sebbene schivo) pittore europeo, Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964) è un personaggio che non cessa di affascinare. Una vita quasi astratta la sua, racchiusa tra il silenzio dello studio di via Fondazza, in una Bologna che abbandona poco e poco volentieri, e i colli e le prospettive assolate dell’Appennino Tosco-Emiliano. Per tutta la vita dipinge le stesse bottiglie, brocche, ciotole. Recipienti vuoti, oggetti non belli e senza alcuna pretesa di bellezza, ma che proprio per questo la evocano in modo struggente.
Tra l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove studia tra il 1907 e il 1913, e Firenze, dove si reca nel 1910 a vedere le chiese e gli Uffizi, Morandi fa conoscenza con i grandi del passato: Giotto, Piero, Chardin, Corot e il suo adorato Cézanne, che “incontra” dal vivo solo molto più tardi, nel 1956 all’antologica di Zurigo, nell’unico viaggio all’estero fatto nella sua vita. Come molti altri artisti a lui contemporanei, anche il bolognese fu momentaneamente attratto nell’orbita del Futurismo (Natura morta con bottiglia e brocca, 1915) e dalla Metafisica di Carrà e de Chirico. Ma furono fasi passeggere queste, anche se importanti, che dimostrano una partecipazione, sebbene discontinua, al dibattito culturale del XX secolo. L’eremita di via Fondazza era chiaramente in contatto con il mondo.
Giorgio Morandi, Natura morta con sette oggetti in un tondo, 1945, Courtesy Galleria d’Arte Maggiore G.A.M., Bologna
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