Moretti vs Banksy

Creato il 06 giugno 2011 da X
Il rischio è un defibrillatore naturale. Giocare alla roulette russa con i cetrioli killer nel frigo nella speranza di non essere il primo caso italiano a contrarre il batterio incriminato ti fa apprezzare di più la vita che ti rimane, a tal punto da piantarti 4 ore davanti alla televisione confermando l'appellativo di re del sofà che erroneamente i colleghi ti hanno appioppato. Così ieri sera ho visto un film. Anzi 2. Anzi nessuno. La stanza del figlio è peggio de La corazzata Potemkin. L'ho visto semplicemente perché in passato un paio  di superficialissimi bello, bello! mi avevano incuriosito. Premetto che fortunatamente non avevo mai visto un film di Nanni prima di ieri e mi guarderò bene dal rifarlo per i prossimi 30 anni. Moretti è l'unico attore italiano che sembra doppiato in tempo reale con quel ritmo ingabbiato da sequencer che lo fa sembrare un cyborg con la barba arrugginita. Per non parlare della voce fuori campo, fluente come un balbuziente che recita Shakespeare dietro le quinte. Nonostante nei primi 3 quarti d'ora il ritmo della storia scorra velocemente, verso la fine del primo tempo scatta un "E allora?" Un segnale personalissimo che mi dice che la trama s'è inceppata, che c'è qualche problema progettuale, che non c'è un'idea così forte da reggere due ore di produzione, che 'sta menata chiamata film ce l'avrebbero potuta risparmiare. A mio modesto parere La stanza del figlio è un non film. Uno di quelli che non aggiunge nulla a quella pletora di lungometraggi prodotti più per necessità di mercato che per darti una visione profonda di temi importanti come il trauma per la perdita di un figlio. Molto meglio Gli ostacoli del cuore (The Greatest) che riesce a trasmetterti un senso di angoscia che pervade il cuore dall'inizio alla fine del film trattando il medesimo argomento.

Così, visto che ho buttato due ore della mia vita davanti al nulla catodico, gioco al raddoppio scoprendo che su un altro canale è appena iniziato Exit Through the Gift Shop. È uscito solo pochi anni fa e più che un film è un reportage amatoriale sulla street art. Dal trailer ci si aspetterebbero alcune rivelazioni clamorose su uno degli artisti più famosi e misteriosi degli ultimi tempi, Banksy. Pura genialità, follia, coraggio. Altro che cetrioli nel frigo. Chi è Banksy? È un graffitaro originario di Bristol grazie al quale la tecnica dello stencil s'è affermata come forma artistica predominante nel mordi e fuggi urbano della comunicazione. Ma Banksy è soprattutto l'artista che ha osato di più da quando è nata la street art, è il guerrillero per eccellenza. Se al Tate vedi un quadro settecentesco con elementi anacronistici, lo ha appeso lui eludendo la sorveglianza. Se a Disneyworld trovi un manichino che ricorda le torture di Guantanamo, lo ha messo lui un barba all'FBI. Se per le strade di Londra trovi una cabina telefonica piegata su se stessa, trafitta da un piccone, è stato ancora lui ma nessun Bobby si è accorto della sua rimozione o del successivo riposizionamento. Per intenderci, i collezionisti di tutto il mondo acquistano un Banksy, come un Mondrian o un Picasso. Ma in realtà il reportage non è altro che l'autocelebrazione di un fancazzista con l'ossessione per le riprese ed è promosso da Banksy per restituirgli il favore di averlo salvato da un arresto certo. Thierry Guetta scopre la street art attraverso suo cugino e attraverso una serie di conoscenze arriva fino a Banksy, nonostante la sua identità fino a quel momento fosse nota solo ai membri della sua crew. Con Thierry Banksy coglie l'occasione di documentare un'arte il cui rischio più grande è scomparire il giorno dopo la sua stessa realizzazione a causa delle leggi sul pubblico decoro. Ma Thierry è meno stupido di quanto sembri, il suo documentario non è fine a sé stesso. La sua disponibilità nasconde altri obietti e presto gli altri artisti si pentiranno amaramente di averlo fatto entrare nel proprio mondo.

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