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Morire di lavoro (per) (n)o(n) morire di fame: quale scelta?

Creato il 14 agosto 2012 da Alessandro @AleTrasforini

Morire di lavoro o morire di fame? Chiudere e/o fermare le cosiddette "lavorazioni a caldo" di un'impresa siderurgica potrebbe significare infierire colpi mortali ad un indotto sociale, economico ed occupazionale.  Nonostante tutte le possibili domande, sembra ormai urgente ricercare una soluzione che sappia coniugare contemporaneamente salute e lavoro: a quanto tempo fa è possibile far risalire questo tremendo "stato d'urgenza"?  E' stato necessario il responso finale del Gip per portare all'onore delle discussioni nazionali (ed all'urgenza nell'agenda tecnico-politica) un problema che è sempre stato pesante? Più voci hanno detto che serve risanare e migliorare, sul solco di una strada già data per intrapresa dall'azienda stessa: l'emergenza Ilva è sembrata per molto tempo inesistente, agli occhi di un'opinione pubblica (data per) inadeguata ad affrontare tematiche come queste.  Viene fatto un ragionamento simile da Vittorio Emiliani in un articolo apparso sul numero odierno de L'Unità, nel quale è posta una domanda (purtroppo) per molto sottovalutata:  "[...]possibile che si debba giungere ad una simile tragedia sociale per riparlare in Italia di politica industriale e della compatibilità delle fabbriche inquinanti con la vita delle città? Bisogna [...] tentare di rimettere in campo forze, risorse, tecnologie per un piano rigoroso, di misure risanatrici che ridiano vivibilità a Taranto e preservino i livelli di occupazione.[...]" Ridare vivibilità e dignità, sicuramente non solo a Taranto: le argomentazioni ed i nodi irrisolti che si nascondono dietro la questione "Ilva" sono di rilevanza assolutamente nazionale: per quali motivi si è parlato di questa tragedia solo a "bubbone" esploso, tanto per usare parole più che povere?  Si parla genericamente di evitare la chiusura di uno stabilimento che, nonostante tutte le (eventuali) buone intenzioni, ha apportato, apporta e (forse) apporterà danni alla salute di coloro che sono costretti ad abitare nei pressi dello stesso: lo studio promosso da "Sentieri" (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio di inquindamento, nds) ha diffuso dati che non sono suscettibili di ambiguità alcuna.  Stando a quanto diffuso, infatti, nella cosiddetta "area Ilva" ci sarebbe un'incidenza di tumori maggiore del 15% rispetto alla media, con un picco del 30% circa per i casi di tumori ai polmoni.  Diffusi tratti del report promosso da "Sentieri" illustrano ancora altri punti "dolentemente negativi" della questione "Ilva": "[...] incrementi significativi della mortalità rispetto al resto della Puglia si verificano per tutte le cause e tutti i tumori. Tra questi mesoteliomi pleurici, neoplasie epatiche, polmonari, linfomi, demenze e malattie ischemiche del cuore.[...]" Se questo non bastasse, si aggiunga anche la situazione relativa ai rischi cosiddetti "pre-nascita":  "[...]c'è un eccesso del 15% di mortalità legata alle malformazioni congenite.[...]" Le misure riportate nello studio si riferiscono alla pericolosità derivante dalle esposizioni professionali (e non, nds) alle sostanze chimiche utilizzate od emesse nei processi produttivi presenti nell'area incriminata.  Gli stessi inquinanti definiti di origine "professionale" sarebbero abbondanti, di pari passo, anche negli ambienti normalmente "usati" nella vita quotidiana.  Non mancano comunque gli appelli all'attenzione ed alla cautela, rispetto alla tragicità dello studio citato:  "I dati sull'incremento dei casi di tumore vanno valutati molto attentamente e bisognerebbe vedere come è stato condotto lo studio. Questa tipologia di problemi va infatti osservata in modo adeguato, perché c'è sempre il rischio di creare da una parte un eccesso di allarmismo, e dall'altra di sottovalutare i risultati."  E' questa l'opinione di Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" di Milano.  D'altra opinione sembra essere, invece, il responso dell'Associazione Italiana di Epidemiologia; tale Associazione considera infatti "[...]solidi e affidabili i risultati della perizia epidemiologica che ha permesso al gip di Taranto di quantificare i danni sanitari determinati, sia nel passato sia nel presente, dalle emissioni nocive degli impianti dell'Ilva.[...]" Al di là di ogni opinione, comunque, è oggettivo dire che le emissioni ed i residui derivanti da lavorazioni siderurgiche non facciano assolutamente bene alla salute: serviva lo "stop" dato dalla magistratura per portare un'emergenza come questa sotto i "tragicomici riflettori" della politica e della tecnica (che dovrebbe risolvere tale problema, nds)?  Risanare un'attività industriale è un'attività che è impensabile svolgere "a titolo gratuito": quali cifre sarà necessario mobilitare per assicurare un miglior legame fra lavoro, ambiente e salute?  Citando l'articolo sopra riportato di Vittorio Emiliani, è possibile aprire su questo fronte un'altra questione di importanza essenziale: "[...] Chi sosterrà i costi di questo colossale quanto indispensabile risanamento? Lo Stato, l'Ilva od entrambi? [...]" Prima di rispondere a queste domande, è necessario stabilire con urgenza quali e quante risorse sia necessario mobilitare per rispondere alla generica parola "risanamento": quali impianti è necessario migliorare ed ottimizzare per limitare appieno le emissioni? Esistono "costi" non ammortizzati provenienti dal passato?  Quali e quante vite sono state rovinate per problemi non solamente afferenti alle emissioni?  Sono esistiti ed esistono problematiche afferenti alla (mancata) sicurezza nei luoghi di lavoro?  Servono "bilanci" compilati sottostando a principi essenziali quali chiarezza, trasparenza e consapevolezza: niente (e nessuno) può essere lasciato "indietro".  Costi di questa natura non devono essere in nessun modo affidati a (vere o presunte) "voci di corridoio".  La "questione Ilva" è stata definita come di sostanziale importanza per l'industria italiana: tale affermazione nasconde una verità assoluta, non solo da un punto di vista produttivo.  Quali e quante "altre Ilva" continuano a nascondersi all'interno del territorio italiano?  Attraverso quali altre "disposizioni" della magistratura sarà necessario passare per affrontare consapevolmente certe spinose questioni? Salute ed ambiente non dovrebbero in alcun modo essere "subordinate" a fattori come produttività ed economia.  Condizionale d'obbligo, ovviamente. Visti i tempi...
MORIRE DI LAVORO (PER) (N)O(N) MORIRE DI FAME: QUALE SCELTA?
Per saperne di più:  "Ilva, Severino: soluzione per lavoro e salute", Corriere.it (http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/12_agosto_13/ilva-taranto-tumori_a6d1e63a-e52a-11e1-97d9-de28e70d5d31.shtml)
"Tenere aperto l'impianto e risanare: va fatto insieme", L'Unità, 14-8-2012, V.Emiliani
"Ilva, il Governo ricorre alla Consulta contro il Gip", L'Unità, 14-8-2012, B. Di Giovanni

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