Morire è un’arte, come ogni altra cosa

Da Andreapomella

La macchina è incastrata nel traffico preserale, il sole è ancora caldo, riversa i suoi raggi sul vetro. La strada è un tappeto di lamiera. Alla radio c’è uno scrittore che parla di esoterismo e misteri, ha una voce calda e rilassata e sembra credere profondamente a quello che dice. Pronuncio due parole ad alta voce, due qualsiasi, solo per giudicare la mia voce. Voglio capire se riesco a credere anch’io in quello che dico, o quantomeno se riesco a dissimulare la profonda indifferenza che provo nei confronti delle cose che dico. Il risultato è che la mia voce fuoriesce come quella di uno zombie, trabocca dalle profondità dello stomaco, non ha niente di umano. L’unica spiegazione possibile è pensare che io mi trovi inserito in un mondo scisso, che le due ore trascorse nell’inferno del traffico romano mi abbiano reso di un’altra specie vivente. Sono giorni strani questi, giorni in cui sto perdendo il contatto con le cose. Prima di uscire di casa ho visto la testa di un uomo che passava all’altezza del balcone. Poiché abito al terzo piano e l’uomo in questione non apparteneva alla specie degli angeli dotati di ali, ho dedotto che stessero costruendo un’impalcatura sulla facciata del palazzo. Un minuto dopo ho sentito un frastuono tremendo, una vibrazione irruente che sembrava spaccare i muri. La testa dell’uomo non c’era più, al suo posto avevano costruito una passerella che ostruiva il passaggio della luce. Ora in casa mia c’è quasi buio anche nelle ore diurne. È questo uno dei motivi che mi ha spinto a uscire di casa, a scendere le scale del palazzo, recuperare la mia macchina parcheggiata chissà dove, e annullarmi in una delle consolari di questa città criminale che ruba la vita e la brillantezza alle persone che ci vivono. Di recente ho comprato un libro di poesie di Sylvia Plath. Mentre mi annullo come persona ripenso a quel verso che fa: “Morire / è un’arte, come ogni altra cosa. / E io lo faccio magnificamente”.


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