Il mistero dell’omicidio di Aldo Moro. Uno dei tanti misteri a cui lo stato italiano ancora non ha dato risposta
Siamo a Gennaio, e quando arriveremo al mese di Maggio non solo lo faremo per respirare la dolce aria di primavera. Nel mese di Maggio ci sarà anche il trentaseiesimo anniversario della morte dello statista democristiano Aldo Moro. Una ricorrenza che viene ogni anno omaggiata dalle più alte cariche dello stato italiano, sempre con la solita retorica impregnata di patriottismo e alchimie politiche.
E la stessa cosa si ripete periodicamente anche il 16 Marzo, a Roma, in via Mario Fani, dove Aldo Moro venne rapito e i 5 agenti della sua scorta barbaramente assassinati. Il tutto senza ricordare mai che l’omicidio di quei 5 agenti e di Aldo Moro sono ancora oggi avvolti da episodi oscuri e mai chiariti. L’ ultimo incredibile fatto è avvenuto lo scorso mese di Maggio, quando l’ex artificiere Vitantonio Raso ha affermato di essere arrivato in via Caetani, la via dove venne ritrovata la Renaut 4 con il cadavere del presidente della DC, intorno alle 10 del mattino e di aver visto sul posto il ministro degli interni Francesco Cossiga. Il tutto, quindi, quasi 2 ora prima della telefonata del brigatista Valerio Morucci al professor Tritto che rendeva di pubblica conoscenza il luogo dove le Brigate Rosse lasciarono la famigerata Renault 4 rossa. Significa quindi che il ministro Cossiga era già a conoscenza ben prima delle 12.30 del mattino, ora della telefonata di Morucci, di quale fosse stato l’amaro destino di Aldo Moro.
Cossiga, che diventerà nel 1985 Presidente della Repubblica, avrebbe quindi mentito non solo alla magistratura ma anche all’ intera opinione pubblica italiana. Un fatto gravissimo, che non è stato più approfondito in quanto lo stesso Raso non ha più rilasciato dichiarazioni. Come mai ? Attediano ancora una risposta. Ma la vicenda Moro non è solo da chiarire per gli sviluppi e i colpi di scena che si verificano in continuazione anche ai giorni nostri. La morte dei carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e degli agenti di polizia Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino è ancora tutta da chiarire. Non sono bastati, infatti, ben 6 processi per ricostruire la verità giudiziaria su cosa è realmente accaduto in via Mario Fani alle 9.02 del 16 Marzo 1978.
Ma la vicenda della moto Honda è solo la punta di un iceberg molto grande e complesso. I misteri di via Fani restano ancora oggi immersi nel silenzio più assoluto. In via Fani vengono esplosi in tutto 93 colpi di arma da fuoco. Di questi, 2 vengono sparati dall’agente Iozzino, l’unico che riesce a scendere dall’auto per tentare una reazione contro il commando brigatista. Gli altri 91 sono sparati dai terroristi. Di questi 91 colpi, ben 49 sono stati sparati da un’unica arma. Un altro testimone importante, il benzinaio Pietro Lalli, ha raccontato di aver visto un uomo con dei guanti sparare con un arma automatica delle raffiche sia sulla 130 dove viaggiava Moro sia sull’Alfetta che aveva a bordo i 3 agenti di polizia. Lalli riferisce che “fù colpito dall’ estrema padronanza dello sparatore”. Tutto questo contrasta in modo lapalissiano con quanto detto dai brigatisti, che hanno sempre affermato di non essere dei killer professionisti o addestrati. E allora chi era quest’ uomo? Un uomo estraneo alle Brigate Rosse assoldato per compiere il “ lavoro sporco”? Ancora non lo sappiamo. Come non sappiamo perché scelsero come via di fuga una strada stretta e contorta come via Stresa. Come non sappiamo ancora chi causò il blackout telefonico in tutta la zona della Trionfale subito dopo l’agguato. E come è ancora tutto da chiarire il ruolo avuto dai alcuni settori deviati del Sismi guidati dal colonnello piduista Pietro Musumeci.
Queste sono solo alcune della tante, troppe domande a cui sarebbe necessario dare una risposta. Risposte che lo stato italiano deve non solo alla famiglia Moro e a quelle dei 5 agenti assassinati, ma anche a tutti gli italiani onesti e servitori delle istituzioni democratiche.