Venerdì scorso sono intervenuto a Riva del Garda al convegno del Centro Studi Erickson dedicato alla "Tutela dei minori". La mattinata in cui ero stato invitato a relazionare (sulla fenomenologia dei consumi digitali dei giovani e relative indicazioni per l'intervento educativo) era varia, per formazione dei relatori e argomento dei loro interventi. Ho imparato moltissimo. Soprattutto ho avuto modo di riflettere sulle ragioni che, quando è di qualità, rendono ancora la forma-convegno interessante e produttiva dal punto di vista intellettuale.
Ecco, in ordine sparso, cosa ho imparato.
1. Da Maurizio Ambrosini (Università Statale di Milano) ho recuperato una bella definizione di Beck, quella di "nazionalismo metodologico", a indicare (ad esempio) la pervicace chiusura con cui in un Paese come il nostro ci si ostina a considerare italiani pronipoti di nostri emigrati che sono nati in Brasile e non conoscono la nostra lingua e a non concedere la cittadinanza a figli di immigrati, nati e cresciuti nel nostro Paese, che parlano l'italiano addirittura con inflessione regionale (e a volte sanno il bergamasco molto meglio dei miei figli).
2. Grazie a Bruno Bortoli (Università Cattolica) ho conosciuto la figura di Charles Loring Brace, un visionario americano che è uno dei primi ideatori dell'affido. I suoi "treni degli orfani" sono, con tutti i limiti che l'esperienza poteva avere, un'idea geniale che negli anni ha regalato un futuro a centinaia di migliaia di bambini.
3. Erano presenti al convegno anche Gale Burford (University of Vermont) e Kate Morris (University of Nottingham), due dei "teorici" del metodo della Family Group Conference. Il loro metodo - ideato e applicato per l'affido dei minori - prevede 5 fasi che possono essere adottate (e lo farò) da chiunque nelle organizzazioni abbia la necessità di giungere a soluzioni negoziate e durature di problemi:
- opening and presentation (inquadramento del problema);
- information sharing (le condividono tutti i partecipanti);
- private time (coloro che devono proporre la soluzione vengono lasciati soli e si chiede loro la propsta di un piani);
- approvation (il piano viene discusso, approvato e sottoscritto);
- evaluation (se ne verifica l'attuazione).
4. Anche il concetto di resilienza (Paola Di Blasio, Università Cattolica) mi pare assolutamente interessante in un contesto come quello attuale in cui la necessità di rispondere a situazione traumatiche o particolarmente stressanti è molto diffusa.
5. Molti spunti, infine, sul ruolo degli adulti nella società odierna sono venuti da Mauro Magatti (Università Cattolica). La sua definizione dell'adulto come soggetto dislocato (tra tentazione giovanilistica e rischio della rottamazione), incoerente (perché "contenitore" universale in cui si addensano mille contraddizioni) e segnato dalla perdita del senso della propria posizione generazionale (tra un prima ed un poi) mi è sembrata illuminante.
Mentre ascoltavo e prendevo nota, riflettevo, appunto, su come stessi "usando" quel convegno, così lontano dai miei temi (il target erano assistenti sociali, educatori e psicologi che operano nei servizi per minori). Mi sono risposto che:
- ho ricavato indicazioni bibliografiche (tra le altre, Ulrick Beck, La società cosmopolita, Il Mulino, Bologna 2003);
- ho fatto euristica categoriale (concetti come quelli di "resilienza", di "nazionalismo metodologico", di "adulto dislocato", possono essere importati e applicati ad alcuni dei temi su cui lavoro);
- ho sperimentato l'efficacia del friends storing (nella società attuale le informazioni si ricavano più facilmente dalle proprie reti che dai libri);
- ho avuto conferme sull'importanza di lasciarsi fertilizzare da interessi di ricerca e approcci disciplinari lontani dai nostri.
Morselage cognitivo, dunque: e al di là di questo il piacere di incontrare amici e colleghi, ragionare in maniera distesa, ritrovare il piacere del confronto intellettuale. Proprio quello che l'Università di solito ti sottrae, presa com'è dai calcoli su minimi e crediti, dalla lotta senza quartiere per la conquista del potere (spesso solo simbolico), dalla stupidità che insegue il vacuo dimenticando che le gratificazioni vere (le uniche, forse) di questo mestiere stanno nel fare cultura e nel piacere di far crescere i giovani che, andrò controcorrente, sono sicuro saranno migliori di noi.