Morte di una favola.

Da Bloggergeist

Il vecchio Emmeth continuava a inspirare. Intricate linee di fumo uscivano dalla cima grigia e rossa della sigaretta. Si confondevano, si spostavano, spinte dalla sbuffata bianca di quello stesso fumo che nei polmoni si era ripulito dalle tinte blu e viola che il vecchio Emmeth notava ogni volta che se ne accendeva una. Quante ne aveva fumate? Un milione? Si perse in quei fantasiosi pensieri che non lo avevano mai fatto crescere davvero. Immaginava palloncini neri e grigi scendere a sorpresa dal soffitto e coriandoli fatti di cenere che annunciavano l’entrata in scena della strega di tabaccaia sotto casa che, raggrinzita e incartata in un lungo vestito di paiette diceva

-Complimenti! Lei ha raggiunto la milionesima sigaretta!- mentre gli porgeva nelle mani l’ambito premio, una stecca d’argento. Sarebbe stato un bel siparietto, non come la squallida cucina alle sue spalle. Nella penombra fece passare lo sguardo tra le persiane, per scorgere chissà cosa, forse niente, era un gesto istintivo che si fa quando si aspetta l’imminente. Ancora quelle cazzo di lenzuola che pendevano dal balcone di sopra, piazzate lì ogni volta che usciva fuori uno spiraglio di bel tempo e gli occludevano gli unici momenti in cui i raggi del sole riempivano il vuoto di quella vita stentata che si trascinava dietro.

La malinconia può creare dei mostri. E lui era un mostro. Moriva dentro e fuori. Come dicevano le sue lastre e gli stregoni… medicanti che fanno finta di essere coinvolti in drammi che non gli appartengono. Almeno aveva finalmente un motivo serio per piangersi addosso, pensava. Finalmente poteva compatirsi a ragione e non solo per la sua vita patetica. E pensare che una volta faceva davvero paura. COFF! COFF! Due colpi di tosse lo presero alla sprovvista, come se dovesse sputare fuori la lametta di un rasoio. SPLUT! Una macchia giallognola mista a sangue, scatarrata nel lavandino pose fine a quella parentesi di baccano.

Tutt’intorno era tornato il silenzio. Come poteva continuare a vivere in un mondo di fantasia quando la realtà gli ripeteva -sei morto Emmeth. Non te ne accorgi ma sei morto-. Nel suo grosso e largo cranio lucido i pensieri si muovevano più velocemente del fumo della seconda sigaretta. Si guardò per un attimo allo specchio, il ribrezzo verso se stesso fu fermato solo dal deglutire del muco che già gli si riformava in bocca. SPLUT e poi ancora un paio di colpi di tosse tanto per gradire. Sentiva che il momento era vicino.

Col passo stanco di chi non ha più nulla da chiedere perchè mai ha ottenuto risposta, Emmeth si avvicinò al grosso armadio di pietra. Maledì il giorno immemore in cui tutti loro avevano deciso di fare quella vita ed estrasse dal fondo buio del mobile l’abito tipico. Per un attimo il sorriso ripercorse pieghe che il suo volto aveva dimenticato. TOC TOC! Il bussare riempì le pareti che lo circondavano. Dalla porta fecero capolino i suoi amici di sempre.

David entrò per primo, lo guardò con imbarazzo, compatendo colui i cui passi una volta tuonavano nel palazzo. David si passò la mano sulla lunga barba e velocemente si tolse il cappello rosso, in un misto di triste imbarazzo e impotenza. Dietro di lui la splendida Morgana, il lungo vestito scuro, le sue dolci fattezze da fata quasi scansavano quei dolorosi attimi. Insieme a loro anche Harry che rimase sull’uscio. Sapeva che una volta entrato sarebbe esploso in lacrime che non si addicevano dinnanzi ad uno come Emmeth. E così, dinnanzi agli amici tirò l’ultima boccata della sua vita, si distese sul suo giaciglio, li guardò intensamente, per ultima Morgana.

-Mi sarebbe piaciuto vedere per l’ultima volta un drago solcare i cieli- alle sue parole Harry, ancora sull’uscio, non riuscì a trattenere una lacrima che nascose, fingendo di grattarsi la cicatrice sulla fronte. -Perchè siamo venuti qui? In un mondo dove anche la fantasia conosce una fine?- con queste ultime parole Emmeth si spense, lasciando così la realtà orfana dell’ultimo orco, che insieme agli altri, tanto tempo fa, aveva deciso di abbandonare le favole per vivere nella realtà.


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