Morti di Fama, e un po’ anche di ipocrisia

Creato il 22 ottobre 2013 da Mcnab75

Ho letto questo libretto edito da Corbaccio Editore, Morti di fama. Iperconnessi e sradicati tra le maglie del web, scritto da Giovanni Arduino e da Loredana Lipperini.
Dalla sinossi si propone di essere un saggio sugli abusi del lato social di Internet, e sulla dipendenza che esso può provocare, alla ricerca del quarto d’ora di celebrità tanto citato da qualche decennio (sì, anche negli anni pre-internet) a oggi. Il libro, che si legge in un paio d’ore, al prezzo non esattamente friendly di 12.90 euro, si risolve in realtà in una disquisizione sulle dinamiche e sui difetti dell’editoria self-publishing. Tale argomento copre circa il 70% del volume.
Morti di Fama non manca di riportare dati interessanti e di sottolineare molte brutture che caratterizzano il mondo degli editori autopubblicati. Parlo di robe quali le autorecensioni, le recensioni a pagamento, la ricerca disperata della visibilità sui social network, il tempo sottratto alla scrittura e dedicato alla promozione, etc etc.
Posto dunque un generale interesse che suscita il saggio, almeno per chi si occupa di editoria e di scrittura, c’è da dire che il libretto di Arduino/Lipperini mi ha fatto arrabbiare fin dalla prefazione.

Fin dal capitolo introduttivo si capisce infatti che i due autori sono di parte. Asseriscono di non guardare con simpatia né a Google né ad Amazon (nota bene che Morti di Fama è regolarmente in vendita su Amazon). Salutano poi il lettore con un incoraggiamento a proseguire che suona così: “Questo libro non ha bisogno di pile ricaricabili per essere letto“.
E allora più o meno si capisce già dove andremo a parare.

Non a caso, dopo aver liquidato in poche pagine i fenomeni di uso e abuso di social network (gli Youtubers, gli Hater Blogger, le “Barbie viventi” e altri casi umani), l’attenzione del testo è tutta concentrata su chi si diletta in scrittura, autopubblicandosi su Amazon e su altri portali simili. Saltando, cioè, l’intermediazione dell’editore.
Ripeto, onde evitare fraintendimenti: Arduino e Lipperini riportano dati interessanti e sono bravi a denunciare fenomeni di malcostume che abbondano nel self publishing. Del resto nessuno ha mai detto che stiamo parlando del paradiso o del sistema perfetto.
Ovviamente (si fa per dire) i due autori si guardano bene però a precisare che il medesimo malcostume è diffuso nell’editoria tradizionale, tra contratti non rispettati, royalties irrisorie e spesso non corrisposte, finti autori spacciati per persone reali (celebre il caso Lara Manni), in tristissime strategie per far colpo su uno specifico mercato (i teenager, per esempio).
Per non parlare poi del plagio, che Arduino e Lipperini citano come uno dei mali che tormentano il self publishing, ma che è ben diffuso anche nell’editoria tradizionale (cito ancora il caso Lara Manni: autrice inesistente, data per vera e vivente, che scriveva libri clonati dalla trama del celebre manga Inuyasha).
Idem per le fan fiction, che io pure odio a 360°.

Praticamente, secondo gli autori, saremmo tutti così.

La parzialità di Morti di Fama è quindi molta, direi preponderante, al punto da trasformarlo in un saggio decisamente di parte. Il che non è un dolo, si capisce, bensì un dato di fatto che ci tenevo a condividere con voi, lettori di Plutonia.
Perché le lezioni di morale e di deontologia professionale sono quasi sempre sgradevoli, soprattutto se nascondono un tirare l’acqua al proprio mulino, e delle non limpidissime posizioni di partenza.

Anche le valutazioni assolutamente negative fatte nei confronti di Google, Twitter, Facebook, Amazon (soprattutto quest’ultima), le accuse di “non fare cultura, bensì solo capitalismo”, sono un tantino ridicole, almeno secondo il mio punto di vista.
Di certo si tratta di aziende che mirano soprattutto al guadagno, con molte luci e molte ombre, ma i discorsi di Arduini e Lipperini sembrano quelle che i costruttori di diligenze facevano a inizio ’900, che accusavano i primi produttori d’auto di uccidere la poesia di un bel viaggio a cavallo.

Ma per favore.

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(A.G. – Follow me on Twitter)

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