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Morti sul lavoro -morti che pesano come piume e morti che pesano come montagne !

Creato il 20 aprile 2012 da Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Un lettore ha preso spunto dalla nostra considerazione sul peso diverso delle morti sui media per scrivere una lettera ai giornali -
Egregio direttore,
prendo spunto dalle osservazioni svolte dal dott. Andrea Bagaglio sul peso rispettivo delle morti di calciatori nel corso delle competizioni e delle morti di lavoratori che periscono nei luoghi di lavoro. Diceva giustamente il presidente Mao Tse-tung che vi sono morti che pesano come una piuma e morti che pesano come una montagna.
Orbene, con tutto il rispetto per i tifosi, per l’opinione pubblica e per il sacerdote che gli ha dedicato addirittura una poesia in questa rubrica, a mio sommesso avviso la morte di Piermario Morosini pesa come una piuma rispetto al massacro quotidiano di tre lavoratori al giorno in media, che sono vittime dell’organizzazione capitalistica del lavoro e della produzione. Sennonché il problema dell’unità di misura del peso sociale della morte è tornato al centro dell’attenzione pubblica con l’improvviso decesso, in diretta tv, di Morosini.
La domanda sorge spontanea per chiunque non si faccia trascinare dall’emozione o non intenda sfruttarla a fini edificanti ed apologetici: perché un peso sociale così forte per la morte di un calciatore o per il motociclista di un Gran Premio mondiale rispetto al peso che viene dato agli infortuni sul lavoro? Rispondere a questa domanda, che può essere posta per qualsiasi tipo di decesso improvviso (nel calcio, nello spettacolo, nelle missioni coloniali come quella in Afghanistan), significa porsi il problema del peso sociale odierno del lavoro. È a questo punto che si comprende perché, sul piano oggettivo, non certo sul piano del valore, la vicenda Morosini pesa socialmente più delle morti sul lavoro. In effetti, ben difficilmente i ‘mass media’ amplificano le morti sul lavoro, ossia gli omicidi bianchi, come fenomeni sociali totali (a meno che non si tratti di vere e proprie stragi come quella avvenuta alla Thyssen-Krupp di Torino), cosicché, se non è un medico del lavoro particolarmente attento a questi aspetti della fenomenologia capitalistica a informarci in merito, normalmente i decessi sul lavoro tendono ad esprimere la propria carica simbolica e di significato entro le pieghe oscure della società, là dove non arriverà mai la luce abbagliante dei riflettori della ‘società dello spettacolo’. D’altra parte, essendo i ‘mass media’ non uno strumento oggettivo di rilevazione, ma un processo di costruzione sociale dei significati simbolici controllato dalla classe al potere, chi si propone come soggetto politico deve essere in grado sia di contrattare con essi l’importanza di un messaggio collettivo sulle morti nei luoghi di lavoro sia di proporre una propria iniziativa di costruzione del significato.
Ecco perché, ‘rebus sic stantibus’, non meraviglia che la morte di un calciatore abbia, nel “mondo stregato e capovolto” in cui viviamo, un peso sociale così abnorme. In realtà, a partire dalle morti sempre più invisibili nei luoghi di lavoro, ciò che la società capitalistica tende a far dimenticare, nell’epoca più distruttiva della sua crisi, è questa semplice verità: che in un mondo fondato sul profitto, sulla rendita e su quell’‘análogon’ del profitto e della rendita che è lo spettacolo, nessuno muore, ma tutti vengono assassinati.
19/04/2012
Enea Bontempi


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