Mosaico d’Europa Film Fest: “The Look of Love” di Michael Winterbottom

Creato il 19 aprile 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

La serata conclusiva del Mosaico d’Europa Film Fest ha regalato diversi spunti di qualità, il più sorprendente dei quali è stato forse Mordraud: cortometraggio pilota di un progetto fantasy che vede coinvolti il regista Riccardo Piana e lo sceneggiatore (nonché autore del romanzo di partenza) Fabio Scalini, questa grandguignolesca antologia di battaglie e di drammi riproposti in flashback ci ha decisamente colpito, sia per la forza delle immagini che per un montaggio in grado di assicurare ritmo e solidità a trame vorticose, concentrate peraltro in pochi minuti. Dopo le sorprese, sono arrivate le conferme. Difatti, annunciati i vincitori del festival, questa succulenta ottava edizione della kermesse ravennate si è conclusa con un evento speciale da noi molto atteso: l’anteprima dell’ultimo film diretto da Michael Winterbottom, ovvero The Look of Love.

Come evento di chiusura non poteva esserci scelta migliore. Ovviamente siamo di parte, visto che la filmografia del cineasta britannico è a nostro avviso, pur con qualche squilibrio, tra le più rilevanti dell’ultimo ventennio. Anche in questa occasione il regista che aveva esordito splendidamente nel 1995 con Butterfly Kiss – Il bacio della farfalla non ci ha affatto deluso. Anzi, si può persino dire che dopo alcuni progetti dal taglio un po’ incerto sia tornato, finalmente, al suo cinema più personale, sanguigno, concepito a partire da un impasto di pulsioni trasgressive e di sentimenti portati alle estreme conseguenze. Lo spunto è arrivato dalla biografia di Paul Raymond, venditore di sesso e di sogni che per alcuni decenni ha movimentato e reso piccanti le notti di Soho, costruendosi a Londra un piccolo impero editoriale, un’industria dell’intrattenimento, che col tempo lo ha reso uno degli uomini più ricchi (e chiacchierati) d’Inghilterra.

Nel complesso The Look of Love è un biopic abbastanza classico, ma con delle interessanti vie di fuga. L’autore, con un approccio non così diverso da quello di Steven Soderbergh nello sfavillante Dietro i candelabri, ha saputo immettervi un doppio registro, ricamato sulle appassionanti (e quanto mai glamour) ricostruzioni d’ambiente ma spinto poi ad assorbire tutte le tensioni emotive del protagonista e di quella variopinta umanità, che gli girava costantemente intorno. Notti trasgressive. Sfide da lanciare alle sacche di resistenza della moralità vittoriana. Processi giudiziari. La tentazione delle droghe. Spettacoli teatrali conditi di spogliarelli e topless a iosa. Scelte commerciali talvolta ciniche e quasi sempre vincenti. Scelte altrettanto disinvolte nella vita privata, ma non sempre vincenti… ecco, tutto ciò che poteva essere Paul Raymond viene centrifugato da Winterbottom in un avvincente caleidoscopio, che nel ricorrere allo split screen, a un montaggio spigliato, a cromatismi vivaci e rappresentativi della “Swinging London” che fu, riesce a rendere l’atmosfera incastonandovi anche osservazioni sentite, malinconiche e penetranti sull’ascesa di determinati personaggi, come anche su certe rovinose cadute. A partire ovviamente da quel Paul Raymond ottimamente interpretato da Steve Coogan, attore che avevamo avuto occasione di apprezzare parecchio in  Philomena di Stephen Frears. Ma nella parte finale del film si compie un ribaltamento di prospettive che, trovando consacrazione nei magnifici titoli di coda, fa salire ulteriormente di livello l’opera: progressivamente l’asse del discorso si sposta infatti sulla dolorosa parabola della figlia di Raymond, Debbie, (un’autentica rivelazione la giovane attrice londinese Imogen Poots, in verità già reduce da apparizioni cinematografiche di una certa importanza), attratta dal luccicante e anticonformista mondo del padre fino a farsene, poco alla volta, annientare. E con l’attenzione sincera rivolta a questa eroina tragica il buon Wintebottom, oltre a completare un mosaico di caratteri analizzati senza ombra di moralismo, dimostra di possedere ancora una delle sue doti migliori, e cioè il saper tratteggiare formidabili figure femminili in rotta di collisione con la società e col proprio ambiente famigliare.

Stefano Coccia      


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :