Mostra a Spazio Tadini 30 maggio 2012: FOGLI DI CARTA Interpretati, usati e ritratti da tre artisti: Patrizio Vellucci, Rodolfo Guzzoni e Lorenzo Perrone. Finisce l’era della carta per entrare in quella dei tablet?

Creato il 24 maggio 2012 da Spaziotadini
le cose non dette di Rodolfo Guzzoni a Spazio Tadini per Fogli di Carta
Le cose non dette di Rodolfo Guzzoni per Spazio Tadini mostra Fogli di Carta
samba di Patrizio Vellucci per Spazio Tadini mostra Fogli di Carta

Flamenco_2011 100×150, Patrizio Vellucci a Spazio Tadini per Fogli di carta
omaggio a montanelli di Lorenzo Perrone a Spazio Tadini per Fogli di carta
Doppio gioco di Lorenzo Perrone a Spazio Tadini per Fogli di Carta


Dal 30 maggio al 16 giugno 2012

Inaugurazione il 30 maggio alle ore 18.30

Spazio Tadini, via Jommelli, 24

(MM2 Piola, MM1 Loreto, Bus 92 e81)

apertura dalle 15.30 alle 19 da martedì a sabato

Un percorso singolare che parte dalle opere di Patrizio Vellucci, interamente realizzate utilizzando il foglio di carta come supporto del suo lavoro artistico: Dialogo con un foglio di carta”, prosegue con Rodolfo Guzzoni che invece fa del foglio di carta il soggetto del suo lavoro pittorico: “Le cose non dette” e termina con Lorenzo Perrone che trasforma i libri in sculture: “Libri Bianchi“.

Una mostra che ci mette a confronto con uno degli oggetti più utilizzati da tutti e da sempre, a partire dall’infanzia. I fogli di carta hanno permesso all’uomo di trasmettere la conoscenza non solo attraverso l’oralità. Rappresentano lo strumento più semplice attraverso il quale è stata possibile la trasmissione del nostro pensiero.  Si potrebbe dire che il foglio di carta è alla base del nostro sviluppo, della nostra civiltà, tanto che persino sul computer apriamo virtuali fogli di carta per scrivere testi, per esprimere i nostri pensieri, per contenere le nostre parole.

Il riferimento visivo al foglio bianco, quando dobbiamo comunicare è immadiato, ma qualcosa sta cambiando.  Da quando è stato introdotto il Tablet le parole non le conteniamo più in uno spazio circoscritto, ma le facciamo viaggiare con ancora più facilità usando una tavoletta e un collegamento Internet. Cambia il supporto e cambia anche il linguaggio, non più lunghi discorsi, ma stringati sms e twitter.

Abbandoneremo i fogli di carta? Abbandoneremo i libri e i giornali? La mostra ci porta ad una riflessione di estrema attualità e ci invita ad una confronto ravvicinato con il foglio di carta a cui, questa volta, spetta forse un nuovo ruolo sociale e con lui, cambia il modo di comunicare la conoscenza e di fare l’informazione.

Melina Scalise

TESTI CRITICI

PATRIZIO VELLUCCI

Dialogo con un foglio di carta” di Melina Scalise

Vellucci usa la carta come uno scultore adopera la materia tridimensionale. Lavora sulla capacità di assorbimento del foglio e il risultato del suo lavoro è il giusto equilibrio tra l’ordine e il caos, tra la casualità e la razionalità, tra un togliere e un mettere, tra un più e un meno.

L’acqua agisce sul foglio, si insinua nella trama, entra nelle sue venature, si imprime sulle molecole così come uno scultore userebbe le mani per plasmare l’argilla e le dita per ottenere il dettaglio.

Il foglio assorbe i colori diluiti e restituisce forme, tracce, segni. L’acqua si muove sul foglio restituendo una grafia, come sa fare il vento che muovendosi tra le cose produce un suono, un sibilo, quasi una musica.  Comincia così un “dialogo” tra il foglio di carta e l’artista. Vellucci legge e risponde con nuovo colore, con una nuova acqua vitale e a sua volta il foglio replica, risponde, si trasforma, si anima.

Una conversazione tra un corpo inanimato e un corpo animato, tra un oggetto e l’uomo, in cui l’acqua agisce come elemento vitale, linfatico, primordiale, originario.

La ricerca di Vellucci sta nello scoprire questo rapporto, nello svelare il codice intrinseco all’oggetto, mosso da quell’impulso che anche Michelangelo sentiva quando, toccando il marmo, riteneva che vi fosse già in esso contenuto il soggetto della sua scultura.

L’artista dunque è una sorta di rivelatore di ciò che già appartiene all’elemento. Una concezione che va ben oltre il contesto artistico perché giace su un modello di  rapporto tra l’uomo e la Natura che non ha nulla di antropocentrico per avvicinarsi ad un’interpretazione più olistica del mondo e dell’universo.

L’elemento naturale, come la montagna, la foglia, il fiore, il riflesso sull’acqua che sono raffigurati nei lavori di Vellucci sono dunque un risultato quasi inevitabile e consequenziale al suo approccio artistico e ideologico.

L’uomo e la natura appartengono allo stesso codice, allo stesso universo di immagini, di segni e di elementi. L’artista riporta alla luce, grazie all’acqua, le forme che sono contenute nella specificità della materia.

Il foglio di carta dunque non è più strumento su cui si sviluppa la semantica, ma una sorta di mezzo video che muove in superficie forme riconoscibili all’occhio umano che ne se appropria.

Patrizio Vellucci, grazie all’acqua e al colore, sprigiona quel flusso e apre la sequenza visiva ed espressiva con una straordinaria sensibilità e delicatezza. Il risultato è un effetto particolare fatto di trasparenze e colori che si allontanano dalle capacità dell’acquerello, perché non sempre l’artista lascia alla carta il dominio, a volte lo contrasta, ci discute e con l’uso del tratto, di colle e altro impone anche la sua visione per giungere a una sintesi che sprigiona una straordinaria vitalità e gioia.

RODOLFO GUZZONI

Le cose non dette di Melina Scalise

Un foglio di carta, un corpo di carta, un oggetto di carta, un soggetto di carta. Nei lavori di Guzzoni, acrilici su tela, lo sguardo dell’osservatore si posa su un pezzo di carta stropicciato che si eleva davanti agli occhi emergendo dal fondo come sospeso, in assenza di gravità.

L’oggetto è ingigantito e la scelta pittorica dell’artista ci costringe a guardarlo minuziosamente. E’ un corpo messo a nudo in ogni sua piega, in ogni suo minimo dettaglio. Il nostro sguardo diventa spietato, perché avido dell’infinitamente piccolo. L’occhio si insinua persino nelle pieghe, là dove l’ombra inghiotte la luce. Ma lì incontra l’ostacolo e si ferma. La ricerca del dettaglio viene abbandonata e si riconsidera l’insieme. Come con un cannocchiale, la nostra vista cambia fuoco e si riprende la distanza. Ecco allora che si riconsidera la forma, il suo complesso, il suo contesto e di lei si cerca l’esatta ubicazione, l’identità contestuale. Ci si domanda cos’è, chi è e perché. E’ in quel preciso momento che quel pezzo di carta diventa altro: da oggetto diventa soggetto. Le spigolosità delle pieghe proporzionali alla grammatura, grazie alla distanza, diventano più sinuose e le loro forme richiamano conseguentemente ad altre forme, altri movimenti, altre piegature, altri soggetti possibili. Magicamente il foglio bianco del quadro richiama alla memoria una nostra immagine già vista. Si anima. Come in un film prende inizio una sequenza. Ci parla. I fogli di carta di Guzzoni entrano in relazione con chi guarda. Non sono il racconto di qualcun altro scritto con l’inchiostro. Loro, i pezzi di carta, si esprimono in quanto forme anche senza contenere le parole. Si presentano al nostro cospetto e si distinguono per la loro individualità. Non lasciano andar via nessuno senza aver prima stimolato la sua immaginazione.

Perché quei pezzi di carta stropicciata, ingigantita sulla tela, sono uno diverso dall’altro, con una storia diversa plasmata dall’azione dell’uomo e non dal pensiero dell’uomo. Guzzoni, lavora ogni singolo pezzo di carta stringendolo in un pugno, poi seleziona i puzzle del suo racconto pittorico e immortala ogni singolo pezzo elevandolo da piccolo a grande, da oggetto a soggetto. La loro storia è incisa nelle loro pieghe, ma il loro senso è attribuito solo da chi guarda: prima dal pittore, poi dallo spettatore. E’ un po’ come dire che la storia di ognuno si compie solo se c’è qualcun altro che la osserva, altrimenti non avrebbe storia, non avrebbe tempo, non avrebbe corpo, non avrebbe spazio o forma alcuna.

“Le cose non dette” dice Guzzoni riferendosi alle sue carte. Non “dicono” solo le parole, ma anche le forme, i corpi e le azioni: si tratta solo di un altro linguaggio. L’insieme delle sue opere raffiguranti i pezzi di carta rappresentano una sorta di alfabeto, di abbecedario immaginifico e per questo immortalati senza essere soggetti alle forze di gravità, ma come sospesi per presentarsi a chi guarda.

Non c’è per Guzzoni tela bianca che tema il vuoto creativo, perché per l’artista non c’è foglio bianco che tema l’incertezza della penna per raccogliere un pensiero. La mano che ha stretto quei pezzi di carta evidentemente lo sa ed è per questo che li ritrae come se fossero autoritratti in chiaro scuro, perché ciò che interessa è l’ombra che ne dà plasticità, vita e storia, prima ancora di riempirsi dei colori dell’arcobaleno.

LORENZO PERRONE

“Trascorsi sfogliati e biancori vitali” di Alessandra Lucia Coruzzi

Passando attraverso lo scorrere breve del tempo, lasciati al libero sfogo del vento che gioca causando valenze ritmate, si accolgono  le ricchezze delle pagine  imbiancate.

Un passato trascritto non basta a raccontare, non gratifica della sola esistenza, richiede ancora attenzione; spinge fortemente ad una nuova lettura. Richiede valenze plasmate, richiami di forte valore pungente, assestamenti e volumi  contrastano con le inerti  pagine piane evolvendosi in forme profonde d’intensi rilievi giocati

Le sensazioni cancellate dall’essere già storia passata, trasformano i pensieri in nuovi volumi.

Statici  compatti  elementi impilati di pagine inerti, si trasformano plasmando tra le dita il contesto letterario, in soluzioni ricomposte nell’aprire quei fogli rinvigoriti dalla poetica di Lorenzo Perrone. Cangianti bagliori in gestuali movimenti sapienti, si innescano sottili e curiosi ironie.

Elementi  sfogliati  si caricano di  senso vitale, trasferendo vigore  alla curiosità dell’umana natura e ai drammi vissuti  rendendoli interpretata poesia.

Mutando  i colori incupiti della negatività degli avvenimenti più infami e atroci, porosi supporti cartacei si imbevono di immenso biancore, ridando  alla luce interesse per migliori  saggezze interiori.

I planari  campi cartacei, attentamente   sbiancati  delle pagine dei libri, a cancellare ogni influenza oggettuale, rivedono plasticismi innovativi che adeguano nuovi pensieri a forme create, trasferendo  l’oscuro  al passato, scegliendo la chiarezza formale, il colore  di sintesi, l’effetto atmosferico inviando  intensi   messaggi di progresso e civiltà.

I volumi  divengono nuovi racconti, dirompenti e gridati  per esplodere con forti tematiche sussurrate con  sottili  e puntuali accordi trasmessi dal sonoro richiamo di voci sottese.

Il passato e la storia non devo turbare pensieri candidi, ma dare al futuro una chiave di  nuova lettura  che riporti al  valore del costruire, al senso del fare  nella costante ricerca di un processo civile.

Il trascorrere del tempo deve volgere ad un nuovo  trascritto individuale costruttivo e innovativo. Nel cogliere la poesia della vita si innesca  dalle sue opere, un potente mezzo linguistico, che diviene arma bianca: una  curiosa e coinvolgente espressione di nuova poetica.

Per ulteriori informazioni e immagini

Melina Scalise

ms@spaziotadini.it

cell.3664584532


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