Arturo Ghergo. Fotografie1930-1959. Mostra, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 3 aprile-8 luglio 2012
Il Palazzo delle Esposizioni è sempre un rifugio sicuro in una domenica in cui il tempo non invoglia ad andare in giro per Roma.
Io e la mia amica G. ci andiamo principalmente per vedere la mostra dedicata ad Arturo Ghergo, ma il nostro giro comincia con una rapida visita della mostra dedicata alle avanguardie americane che dal 1945 al 1980 hanno trovato la loro espressione anche grazie al mecenatismo della famiglia Guggenheim.
La mostra è organizzata cronologicamente e ciascuna delle sale che si aprono intorno all'atrio centrale del Palazzo delle Esposizioni è dedicata a un periodo e a una modalità espressiva.
L'idea non è quella di approfondire le singole correnti pittoriche e forme espressive, di cui vengono proposte solo poche opere rappresentative e flash illustrativi, bensì quello di mettere in evidenza la lungimiranza dei Guggenheim nel riconoscere e dare spazio alle nuove correnti artistiche di volta in volta emerse e nel perseguire con coerenza questo ruolo di ospite delle avanguardie.
Ne viene fuori un racconto dell'evoluzione della pittura (e non solo) americana che è anche una testimonianza dell'influenza che questo paese ha avuto sulle forme artistiche ed espressive di tutto il mondo occidentale.
La mostra spiega molto bene che Ghergo interpretava il suo lavoro di fotografo in maniera artigianale più che artistica. Il che non vuol dire che non avesse in assoluto velleità artistiche, tanto che accanto alle fotografie sono in esposizione alcuni dei suoi quadri astratti.
Il fatto è che Arturo Ghergo era un perfezionista e puntava a raggiungere in ogni foto la massima espressione del suo modello di bellezza. Soggetti delle sue foto sono dive e aspiranti dive (e solo pochi divi) che in quegli anni cominciavano a popolare gli schermi cinematografici e televisivi, ma anche i componenti delle famiglie nobiliari e alto-borghesi romane e non solo. Spesso si tratta di ritratti ad uso familiare, altre volte di servizi fotografici per la moda.
La ripetitività sembra essere un limite alla creatività e potrebbe in qualche modo sminuire l'opera di Ghergo a mestiere. Ma in realtà quello che accade è esattamente il contrario. In un certo senso Ghergo riscatta il mestiere del fotografo e solleva anche la sua attività ordinaria a un livello di qualità artistica.
La mostra ci permette anche di seguire gli sviluppi dello studio Ghergo dopo la morte di Arturo, gli sforzi della moglie e della figlia per proseguirne il lavoro e garantirne la continuità dello stile fino alla chiusura nel 1999.
Bello anche il documentario realizzato dalla figlia del fotografo che ci offre uno sguardo dall'interno sul lavoro di Arturo e ci racconta la sua epoca e la sua personale epopea.
Un tuffo in un'Italia che non c'è più ma la cui espressione contemporanea affonda le proprie radici proprio in quei decenni.
Voto: 3,5/5