VERNISSAGE
6 Novembre 2013 ore 18.30 Spazio Tadini –Via Niccolò Jommelli, 24 Milano – Italia – +39 0226829749
La mostra sarà aperta dal 6 al 26 novembre 2013 Orari apertura:martedì –venerdì ore 15.30 -19 o su appuntamento
In Dies – testo critico di Francesco Tadini
Un paesaggio che non è fatto di paesaggio. Un paesaggio al quale appartengono cose che non facevano – prima – parte del paesaggio. Una pittura che non è fatta solo di pittura, ma – anche – delle stesse cose che fanno parte di un paesaggio rinnovato. Un paesaggio che si compone con la stessa libertà che si prende (e al quale viene, poi, tolta) un bambino che rappresenta, giocando, il mondo.
Deve essere così, anche per gioco, che Picasso, Braque, Juan Gris, ma, poi, anche Carrà, Prampolini, Soffici, Sironi, Arp, Picabia, Duchamp, Man Ray, Schwitters… per arrivare a Burri, a Rauschenberg, a Rotella (eccetera!) hanno introdotto nei quadri le cose di ogni giorno. Quelle cose alle quali siamo portati a dare retta per pochi minuti. Quegli oggetti che stanno, costantemente, per essere dimenticati. Così indispensabili a informarci, a confezionare, trasportare, conservare, trasmettere, accettare, rifiutare e, allo stesso tempo così estranei alla grande Piramide del Bello. Pezzetti di carta, imballi, giornali, legni, plastiche, chiodi, sacchi, materassi, urinatoi, spartiti, francobolli timbrati, manifesti strappati e, persino, merda…
“Il Bello dev’essere senza tempo!” Oppure: “Il Bello è questione di gusti!” O no? O, forse, il Bello può fare affari anche con il tempo che corre – con i giorni, le ore, i minuti … – e penetrare in noi da porte segrete che non riguardano affatto la nostra predisposizione a coglierlo o il famoso,nostro, gusto?
Scrivendo di Paolo Basevi, acutamente, Sandro Parmiggiani ha colto “frequentazione del paesaggio, talvolta anche urbano, reso in immagini che sempre si collocano sul crinale tra memoria e oblio, là dove quello che lui viene evocando appare per la sua stessa natura più che mai inafferrabile, qualcosa che continuamente si sottrae nel momento stesso in cui si rivela.(…)”.
Forse, già all’inizio del Cinquecento, con quella Tempesta che domina la luce di un quadro, Giorgione ha saputo mostrare, nella durata di un lampo, quanto il paesaggio sia cosa mutevole, sfuggente e, quindi, più vera del vero. Giacché la vista (senso, tra i cinque, che condivide il nome con il tempo passato del verbo) ci spinge – proprio: ci muove con energia – ben oltre l’angolo di visione, più in là della temporalità dell’accaduto.
Il teatro della memoria di qualunque artista – unito alla sua manualità – è il suo tesoro. E nella memoria di Paolo Basevi sono depositati in buon ordine sia le epifanie del “vissuto” che le Cronache – i fatti giornalieri, le voci che corrono, le interpretazioni. I giornali di Basevi sono paesaggio a pieno titolo: Paesaggio.
Il Paesaggio secondo Basevi è afferrato insieme a quei supporti che hanno strillato le verità lunghe un giorno. I quotidiani.
I colori dei paesaggi secondo Basevi dialogano con i caratteri da stampa e con le (bellissime!) testate dei giornali.
Ma le verità lunghe un giorno o, meglio, la loro realtà tipografica, danno al colore dei paesaggi consistenza di realtà. Forse, come il lampo nella Tempesta di Giorgione, la cosa più vera del vero irrompe tuonando nei quadri lunghi un giorno di Basevi.
Fa notare Melina Scalise, in un precedente testo critico, che nei quadri di Basevi “La spiaggia non è solo disegnata e colorata, ma è sabbia e il paesaggio non è solo colore e segno, ma è terra e anche granelli piccolissimi di frammenti di vetro”.
La realtà si fa segno. La memoria di Paolo Basevi prende materia in prestito e gioca nel giardino della rappresentazione con la stessa disinvoltura con la quale un bambino passa, sempre giocando, dalla metafora alla immedesimazione. Ciò che dico di essere. Ciò che sono. Arimortis…
Che, forse, è come dire che attraverso l’arte noi possiamo compiere un lavoro che nessun altra attività ci concede: sospendendo la fine del giorno – di un qualunque giorno – e producendo il più utile dei manufatti umani: l’Opera.
L’Opera d’arte è il regno del possibile. Dove la libertà di raccontare supera la certezza della fine, rimandandola. Quello che fa, ne Le Mille e una notte, salvandosi la vita, Sharāzād, di giorno in giorno…
La costanza con la quale Paolo Basevi evoca incostanti lampi di memoria, moltiplicando gli orizzonti e i punti di vista nelle sue cronache dipinte ne fanno un artista che sfugge alla categorizzazione stilistica da critica accademista. Basevi, anche medico di professione, non può che sfuggire al controllo della pressione artistica da parte di certi “curatori”… Come, del resto, fu per uno degli artisti sopra citati e equipaggiato di laurea in medicina…