Sabato 1 marzo inaugurazione ore 18.30
dal 1 al 26 marzo 2014 – Apertura da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19
A cura di Melina Scalise – Viaggiare a colori
Tra il 900 e il 2000 il viaggio assume un nuovo significato culturale. In una società globalizzata e con nuovi “strumenti di viaggio” come la televisione e il Web, cambia il modo di guardare il paesaggio e di viverlo. Oggi tutti ci sentiamo appartenere a una terra – a un luogo – ma al tempo stesso ne ampliamo i confini reali e “virtuali” e ognuno si sente abitante di un Pianeta da tutelare. Voli low cost e condizioni anche più vantaggiose di soggiorno permettono a quasi tutti di intraprendere un viaggio. Ciò che nell’800 era prerogativa di pochi, un lusso, spesso un “bisogno di conquista”, oggi diventa possibile a tanti e si trasforma in una potenziale “perdita vantaggiosa”: uno strumento attraverso il quale si possono o si mettono in discussione i propri riferimenti culturali per lasciare che alle vertigini del “vuoto” prenda posto una nuova umanità. Non meno importante però è il senso del viaggio come fuga, ribellione e opportunità di sviluppo e ricerca di condizioni economiche e di vita migliori. L’obiettivo è sempre più condividere, sentirsi parte di un “villaggio globale” dove ogni luogo tende a perdere confini. Andrea Marostegan è un pittore viaggiatore del nostro tempo che ha inglobato il senso del viaggio ottocentesco e l’ha fatto suo impregnandolo di contemporaneità. Sono lontani i tempi di Johann Wolfgang von Goethe, di quando scrisse “Viaggio in Italia” (1816) coronando il valore del viaggio e del paesaggio come stimolo creativo principe per scrittori, poeti e artisti. Tuttavia per Marostegan, come per gli artisti di allora, il viaggio è parte della sua vita e fonte esclusiva di conoscenza e strumento di esplorazione interiore. Le sue peregrinazioni avvengono, come nell’800, prevalentemente a piedi, tra la gente, facendosi accogliere dalle popolazioni locali. La luce, i colori, il catturarne le forme e i riflessi tornano, oggi, come allora, ad assumere nei suoi lavori pittorici, un ruolo da protagonisti. “Dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” Si chiedeva Gauguin intitolando uno dei suoi capolavori ispirati alla Polinesia. Nella società contemporanea l’urgenza di questa domanda è tornata pregnante, specie per tutelare il Pianeta, le nuove generazioni e attribuire un senso al nuovo assetto geopolitico –economico mondiale. Così Marostegan, come faceva Edwin Church - l’artista americano che ogni primavera intraprendeva un viaggio a piedi per schizzare il paesaggio – lascia ogni anno la sua campagna biellese e approda sempre in un luogo diverso, esotico, come ormai è sempre più raro essere. L’esotico è oggi sempre più la trasformazione figurativa del paesaggio di cui Kandinsky fu primo sperimentatore prendendo le sue forme per trasfigurarle fino all’astrattismo. Marostegan però non arriva a tanto, lambisce solo qualche volta l’informale perché ama di più la ricostruzione surreale del paesaggio in una puzzle denso di colore. Il colore infatti è il protagonista assoluto delle sue tavolozze così come nelle tele dei pittori fauve. Marostegan trova la forza espressiva nella varietà cromatica e nel gesto primitivo, quasi naif: le sue tavolozze d’impasto, infatti, diventano spesso esse stesse dipinti, paesaggi da inventare dove il luogo sta nella provvisorietà, nel susseguirsi dei gesti dell’uomo, non nella stratificazione delle ere geologiche, ma dei ricordi e delle loro attribuzioni di senso.